Un giorno di straordinaria follia democratica

di Giacomo Lagona

Il Congresso è finito, andate in pace. Sembra questa la fine di una giornata vissuta in sordina, in un famoso albergo romano di cui si vedono solo gli striscioni e gli stendardi del Partito Democratico, e le affissioni per il Congresso. E pullman, e auto, e gente… tanta gente. Erano i mille delegati che rappresentavano le tre mozioni che parlavano oggi: solo loro, senza dibattito ne’ confronto, solamente Bersani, Franceschini e Marino. Il Congresso era solo questo: la Finocchiaro che legge le lettere di Prodi e Veltroni, da’ l’ufficialità ai voti dei circoli confermando ciò che sapevamo già, istiga l’applauso a Napolitano e presenta i tre candidati e li avvia alle loro relazioni.

Qualcuno parla di un congresso light onde evitare le code passate dei congressi di Ds e Margherita, evitare un secondo “caso Serracchiani” – che spacca per l’ennesima volta il Pd attaccando la dirigenza – è un imperativo da rispettare a tutti i costi. Dunque ecco il congresso che non è congresso ma “Convenzione”. E’ già tanto che non si sia chiamato Convention con glamour american style. Ed eccoli dunque i tre candidati alla segreteria del Partito Democratico.

Inizia Pier Luigi Bersani: «La priorità assoluta e immediata è quella di portare risorse sui redditi medio-bassi, su chi sta perdendo il lavoro, su chi ha superato la soglia di povertà.» Bersani pensa ad un nuovo patto economico con le piccole imprese, aumentare i pochi  investimenti su scuola e università, rimediare al già provato sistema sanitario. Poi il colpo di grazia: la lotta alle corporazioni. «È tempo di un’offensiva liberale per aprire mercati regolati in molti settori dell’economia oggi strozzati da sistemi corporativi». Il populismo «è penetrato in profondità», perché «il progressivo indebolimento di ogni istituto di mediazione tra popolo e governo, l’idea che il consenso debba prevalere sulle regole». Chiude con lo slogan della sua campagna: «Se ti metti dalla parte dei deboli, dei subordinati, di chi lavora, di chi produce, puoi fare una società migliore per tutti».
Non infiamma la platea ma era immaginabile: Bersani non è un trascinatore, crede alla sostanza più che agli applausi. Ma oggi servivano quelli e non è andata nemmeno male, direi.

Tocca a Dario Franceschini. Il segretario uscente ha “solo” il 37 per cento dei delegati ma sembra evidentemente il contrario. Piglia applausi a scena aperta da tutta la sala, infiamma il pubblico con attacchi mirati al Presidente del Consiglio e parla a braccio a differenza dell’ex Ministro prodiano.  Sembra un fiume in piena e trascina tutti spedito al punto cruciale del suo discorso: «Se il 25 ottobre avrò la fortuna di restare segretario, le prime due persone che chiamerò a lavorare con me saranno Bersani per le sue competenze economiche e Marino per le sue competenze scientifiche». Potere della comunicazione: Berlusconi ne sarebbe fiero, se solo non ci avesse definito “i soliti comunisti”…
Arriva alle Primarie con una stoccata a D’Alema «Sono stati proprio gli iscritti a chiedere il coinvolgimento degli elettori: i primi a rispettare il risultato saranno proprio gli iscritti che amano questo partito indipendentemente da chi sarà chiamato a guidarlo. Se sarò eletto non toglierò mai le primarie per la scelta del segretario». Le alleanza – «Non vorrei che il contrasto alla vocazione maggioritaria ci porti a diventare un partito a vocazione minoritaria» – e i temi sociali: «La scelta più colpevole di questo governo è stata quella di aver pensato di affrontare la crisi occultandola, senza mettere in campo misure per affrontarla: la crisi finirà, vedete di cavarvela». Se si votasse adesso Franceschini verrebbe riconfermato segretario per acclamazione.

Prende la parola Ignazio Marino, la terza forza e terzo incomodo. Inizia citando De Tocqueville, ma continua con il cardinale Martini, Che Guevara, John Fitzgerald Kennedy, Anthony Giddens e Aldo Moro. E’ tutto un mondo di frasi famose, frasi fatte potremmo dire. Ma non è così: «Qualunque sarà il risultato del congresso il mio ruolo è quello di contribuire a un rinnovamento radicale». Parla di laicità come «mezzo irrinunciabile per la vita del Paese», attacca il partito per alcune scelleratezze al sud: «Possiamo continuare ad accettare che le classi dirigenti di alcune regioni del sud, che non si sono mostrate all’altezza del loro mandato, siano ancora considerate come forze di riferimento irrinunciabili? Io credo che l’antipolitica sia da contrastare. Ma dobbiamo partire da noi.»
Continua parlando di lavoro, occupazione e produttività: «In Italia più si invecchia più si guadagna, mentre in tutti gli altri paesi europei e occidentali la curva del reddito segue la naturale produttività della vita». Anche il Senatore becca applausi a scena aperta a conferma che l’otto per cento preso nei circoli potrà essere viziato dagli elettori delle Primarie.

Finiscono i discorsi, finiscono le trame, si aggiunge qualche bega organizzativa e tutti a casa. Si ritorna ai pullman, alle auto, alle case. Con lo strascico di volantini, bandiere, mollette verdi e adesivi del Congresso e della campagna a favore dell’uno o dell’altro candidato. Tutto in vista del 25 ottobre: giorno in cui il Partito Democratico dovrà eleggere il terzo segretario in due anni di vita. Ottima media, non c’è che dire.

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