MILLE CHILI DI ESPLOSIVO POLVERIZZANO UOMINI E MACCHINE, POI COSA NOSTRA RIVENDICA: “E’ IL REGALO DI NOZZE PER MADONIA”
Il botto, la strage e l’ unico testimone racconta: “ho soccorso Falcone, era ancora vivo”; il tritolo era stato piazzato in un sottopassagio pedonale scavato sotto l’ autostrada fra Palermo e Punta Raisi in localita’ Capaci; nell’ esplosione trovano la morte Falcone Giovanni, la moglie Morvillo Francescae gli agenti di scorta Schiafani Vito, Dicillo Rocco e Montinari Antonio.
L’ hanno ammazzato come lui temeva, facendo una strage, usando mille chili di esplosivo ammassati in un sottopassaggio pedonale scavato sotto l’ autostrada fra Palermo e Punta Raisi. Un’ autostrada che in quel punto, a cinque chilometri dalla città, non c’è più perché il boia che ha pigiato il tasto del telecomando alle 18.20 di questo maledetto sabato ha scatenato l’ Apocalisse: un’ eruzione di ferro, terra e massi ha aperto una voragine larga trenta metri e profonda otto facendo volare in un giardino di ulivi la prima auto di scorta con tre agenti e spezzando in due quella guidata da Giovanni Falcone, il simbolo della lotta alla mafia, il bersaglio da eliminare a ogni costo, anche se aveva accanto la moglie, Francesca Morvillo, pure lei magistrato, le gambe spezzate, in agonia come l’ autista che aveva preso posto dietro impugnando una pistola. Sopravvissuti i due agenti di scorta che viaggiavano su una terza Croma blindata, bloccatasi un metro dietro l’auto di Falcone a sua volta sommersa da massi e pietrisco, sospesa sul bordo della voragine con i vetri blindati piegati, il volante schiacciato contro il sedile, un intreccio di fili anneriti sulla cloche e le due scarpe marroni della moglie rimaste sul tappetino.
Erano arrivati insieme da Roma e le tre auto con i sei uomini di scorta li aspettavano come sempre ai bordi della pista, per correre via veloci a sirene spiegate. Ma hanno fatto solo dieci chilometri perche’ questo aveva deciso la mafia che in serata, violando una radicata consuetudine, ha rivendicato l’ attentato con una telefonata al “Giornale di Sicilia”: “E’ il regalo di nozze per Nino Madonia”. E in effetti ieri all’ Ucciardone si e’ sposato il figlio minore del vecchio Don Ciccio Madonia, il patriarca indicato come il mandante dell’omicidio di Libero Grassi. La telefonata per il momento e’ solo un terribile dato di cronaca e niente più, come e’ stato detto dal procuratore della Repubblica Pietro Giammanco al ministro della Giustizia Claudio Martelli e al capo della polizia Vincenzo Parisi giunti ieri sera in una Palermo attonita perche’ stavolta la soglia di un abituale diffidente distacco sembra scardinata, come accadde per Dalla Chiesa e per per gli altri eroi di una citta’ che si difende dimenticando. Ma sara’ difficile cancellare l’ ultima immagine che sembra far sprofondare davvero in una voragine l’ era della speranza. Fra il quinto e il sesto chilometro di questa autostrada che non c’ e’ piu’ si respira l’ odore acre di una devastazione che fa pensare alle stragi dell’Eta o dell’Ira. La bomba ha provocato una pioggia di diverse tonnellate di detriti anche sulla carreggiata attigua che corre verso Punta Raisi investendo in pieno una Fiat Uno verde con due turisti austriaci a bordo e una Opel Corsa sballottolata per cinquanta metri e rimasta sospesa su una fiancata, mentre un’altra auto che seguiva casualmente il corteo di Falcone, una Lancia, si e’ bloccata col muso affondato fra le macerie.
“Sembrava l’Etna. Ho visto una fumata da lassu’ , sono arrivato qui correndo e l’ ho tirato fuori io Falcone”, racconta l’unico testimone, Salvatore Gambino, 30 anni, un uomo smilzo e deciso che in quel momento passava con la sua macchina da un ponte sull’ autostrada, lo svincolo di Capaci. “Ho bloccato l’ auto e l’ ho fatta di corsa. S’ e’ fermata una pattuglia della polizia. Non volevano che mi avvicinassi. Ma era vivo. Anche la moglie si muoveva. E io li ho presi lo stesso…”. E mostra i pantaloni, la camicia, le mani sporche di sangue descrivendo il volo della prima auto, scaraventata verso sinistra, oltre la carreggiata attigua, cinquanta metri piu’ in la’ , fra gli ulivi bruciacchiati dove i vigili del fuoco hanno dovuto lavorare per un’ ora con grandi cesoie per estrarre i corpi a brandelli di tre ragazzi giovanissimi, Vito Schiafani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari, il capo scorta, il poliziotto piu’ noto di Palermo perche’ gli piaceva scherzare, andare in giro fiero del suo incarico di angelo custode di Falcone. Si occupava pure lui delle contromosse per prevenire gli attentati. E un paio di anni fa si penso’ proprio a un attentato con esplosivo celato sotto l’ asfalto. Tanto che in via Notarbartolo, davanti all’ abitazione di Falcone, fu murata e deviata una fognatura. Era una delle tante misure di prevenzione saltate in un attimo ieri sera con l’ agguato che lo stesso Falcone aspettava in difesa da dieci anni. Un agguato che fara’ giustizia delle dicerie degli untori, del vocio su una presunta “resa” legata al suo trasferimento romano e smentita con una intervista al “Corriere”: “Io sono un siciliano… Uno o e’ un uomo o non lo e’ . Non ho mai pensato alla morte. Il fallito attentato di due anni fa non ha cambiato nulla nella mia vita”. Magistrati, poliziotti, carabinieri, vigili e infermieri, volontari e curiosi arrivano a centinaia nell’ inferno dell’ autostrada mentre le stradine tutt’ intorno s’ intasano bloccando il traffico fino al centro di Palermo quando ormai il cuore di Giovanni Falcone s’ e’ fermato, come constatano i medici del Civico che lasciano passare i colleghi, il cognato Alfredo Morvillo, sostituto procuratore e fratello di Francesca, Borsellino e gli uomini del “pool”, compreso Gioacchino Natoli: “Non si puo’ stare a contare i morti”.
Dopo 20 anni mi ritrovo qui a leggere questa triste notizia e leggo il nome di mio padre, Salvatore Gambino che dopo quel pomeriggio è stato trattato da criminale e ha dovuto subire anni di processi solo a causa della sua filantropia. Conoscendolo, mai sarebbe rimasto inerme dinanzi alla possibilità di salvare alcune vite umane. Di certo nella vicenda avrà influito il pesante cognome che portiamo, ma l’hanno tenuto fino alle 3 di notte in caserma senza nemmeno aver la possibilità d’avvertire la giovane moglie, mia madre, che intanto si disperava a casa per il mancato rientro del marito. Mio padre ha avuto solamente la colpa di voler salvare delle vite e l’hanno ringraziato incriminandolo dio solo sa per cosa (sinceramente non ricordo,ero piccolo. Ricordo che il giorno di un mio compleanno ha avuto una causa a Caltanissetta. 18 febbraio di non so quale anno). L’aver vissuto sulla mia pelle quest’esperienza mi ha portato a maturare una sensibilità civica. Mi ha fatto capire che bisogna lottare per la vita, che bisogna lottare contro ogni tipo di mafia. E’ da allora che inseguo il sogno di diventare magistrato.