Al Presidente della Camera, On. Gianfranco Fini
Al Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On. Giulia Bongiorno
Ai Capi-gruppo alla Camera dei Deputati
A tutti i Deputati
La decisione con la quale, lo scorso 21 luglio, il Presidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Giulia Bongiorno, ha dichiarato inammissibili gli emendamenti presentati dall’On. Roberto Cassinelli (PDL) e dall’On. Roberto Zaccaria (PD) al comma 29 dell’art. 1 del c.d. ddl intercettazioni costituisce l’atto finale di uno dei più gravi – consapevole o inconsapevole che sia – attentati alla libertà di informazione in Rete sin qui consumati nel Palazzo.
La declaratoria di inammissibilità di tali emendamenti volti a circoscrivere l’indiscriminata, illogica e liberticida estensione ai gestori di tutti i siti informatici dell’applicabilità dell’obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa, infatti, minaccia di fare della libertà di informazione online la prima vittima eccellente del ddl intercettazioni, eliminando alla radice persino la possibilità che un aspetto tanto delicato e complesso per l’informazione del futuro venga discusso in Parlamento.
Tra i tanti primati negativi che l’Italia si avvia a conquistare, grazie al disegno di legge, sul versante della libertà di informazione, la scelta dell’On. Bongiorno rischia di aggiungerne uno ulteriore: stiamo per diventare il primo e l’unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà.
Esigere che un blogger proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta – esattamente come se fosse un giornalista – sotto pena di una sanzione fino a 12.500 euro, infatti, significa dissuaderlo dall’occuparsi di temi suscettibili di urtare la sensibilità dei poteri economici e politici.
Si tratta di uno scenario anacronistico e scellerato perché l’informazione in Rete ha dimostrato, ovunque nel mondo, di costituire la migliore – se non l’unica – forma di attuazione di quell’antico ed immortale principio, sancito dall’art. 19 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e del cittadino, secondo il quale “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”.
Occorre scongiurare il rischio che tale scenario si produca e, dunque, reintrodurre il dibattito sul comma 29 dell’art. 1 del ddl nel corso dell’esame in Assemblea, permettendo la discussione sugli emendamenti che verranno ripresentati. L’accesso alla Rete, in centinaia di Paesi al mondo, si avvia a divenire un diritto fondamentale dell’uomo, non possiamo lasciare che, proprio nel nostro Paese, i cittadini siano costretti a rinunciarvi.
Guido Scorza, Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
Vittorio Zambardino, Scene Digitali
Alessandro Gilioli, Piovono Rane
Arianna Ciccone, Festival Internazionale del Giornalismo e Valigia Blu
Jack Lagona, OpenWorld
Filippo Rossi, direttore Ffwebmagazine e Caffeina magazine
Fabio Chiusi, Il Nichilista
Daniele Sensi, L’AntiComunitarista
Wil Cappellaro, Nonleggere QuestoBlog
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La pagina Facebook No Legge Bavaglio alla Rete
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Per saperne di più:
- Le ragioni del no al comma “ammazza-blog”, Agoravox Italia
- Quel comma 29 ammazza i blog. Inammissibile lo diciamo noi, Valigia Blu
Penso che la cosa si possa risolvere iscrivendo di diritto i blogger che fanno informazione o si occupano di comunicazione (sia essa politica o di costume) all’Ordine dei Giornalisti (retaggio, questo sì, del regime fascista corporativo) e con tutti i benefici (anche di protezione economica) del caso.
Lo scrissi già a suo tempo.
Ad ogni modo la rettifica è sempre obbligatoria qualora qualcuno la richieda.
Ricordo che io stesso, a causa del fatto che in un mio racconto posi fra i personaggi un amico (oramai ex e ne vado fiero !) con nome e cognome e questo se ne adontò (pur stupidamente, sia ben chiaro) pena denuncia, fui costretto a rettificare ovvero modificare il personaggio in questione.
L’Italia è il Paese delle querele facili, che ci volete fare.
Ma la libertà dei blogger non è comunque a rischio.
Luca è troppo semplicistico e riduttivo quello che dici.
Con l’obbligo di rettifica entro 48 ore succederanno due cose: eliminare de facto l’80% dei blog perché la maggior parte sono – e lo saranno anche in seguito – dei diari personali dove ognuno scrive le balle che gli frullano in testa; si avrà l’obbligo d’iscrizione a qualche ordine/autorità con tutto l’iter burocratico che ne consegue, compreso il domicilio legale, esattamente come succede oggi per la stampa, quando in realtà non lo sono. Queste modifiche porteranno allo smembramento dell’unica parte di comunicazione libera rimasta in Italia: i blog.
Oltre alla burocrazia – e in Italia sappiamo benissimo come funziona – c’è un particolare rilevante che palesa il delirio di questo ddl. Dato che la maggior parte dei blog non sono aggiornati quotidianamente, ma molto spesso lo sono settimanalmente se non addirittura mensilmente, non è così difficile trovare blogger che si collegano alla rete saltuariamente. Pertanto se la rettifica va fatta entro 48 ore, si verranno a creare enormi discrepanze tra i blog giornalistici e di informazione (anche personali come il mio o il tuo, o come questo del Pd di Cordenons) – in cui gli autori si collegano ogni giorno e quindi sono assolutamente al corrente delle richieste che verranno fatte inizialmente via mail – e i blogger che si collegano una o due volte al mese perché non sono interessati ad aggiornare il proprio blog periodicamente. Succederà che automaticamente si violerà una legge per puro disinteresse personale e senza minimamente volerlo, perché il termine di due giorni era stato pensato per i quotidiani, non per i blog.
Il paradosso e l’incongruenza del ddl ci porterà a diventare il primo e unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà. Quindi la libertà dei blogger è assolutamente a rischio, e non capisco nemmeno perché devo iscrivermi ad un qualsiasi ordine o sottospecie di autorità per il solo motivo di avere un blog e scrivere quello che voglio liberamente senza che nessuno debba dirmi come e cosa scrivere.
I blog non hanno una redazione e non hanno nemmeno un editore che paghi per conto loro. Chi ha l’uno o l’altro non è un blog, si chiama giornale. E’ questa la differenza.
Ma la cosa che mi da più fastidio, è che i giornali prima hanno chiesto aiuto ai blogger contro la cosiddetta legge-bavaglio che li obbligava a a non pubblicare le intercettazioni, quando poi la rete ha fatto quadrato e in un certo modo ha dato il “la” a tutto l’ambaradan mediatico contro il ddl intercettazioni, i giornali adesso si tirano indietro non muovendo un dito – o non mettendo l’ennesimo post-it in home page – per scongiurare un emendamento che, questo sì, limita la libertà d’informazione nel nostro Paese. La disparità d’opinione e d’interesse va anche in questo senso, dunque perché devo IO, blogger non corporato, iscrivermi ad una corporazione che mi da fastidio quasi quanto la mancanza di libertà in cui sta parando il mio paese?
La regolamentazione giuridica dei Blog e Blogger è una proposta dei socialisti (centro sinistra) al parlamento europeo.
La comissione cultura a Bruxelles lo ha discusso il passato 3 giugno
La risoluzione approvata parla di un’etichetta volontaria che informi sull’identità dell’autore del blog,
i suoi interessi politici e sociali e le responsabilità di quello che scrive.
Qualcosa di molto simile ad una fedina penale, insomma. Niente di obbligatorio per ora,
si tratta solo di una raccomandazione e l’effettiva regolamentazione e lasciata alla legislazione
dei vari paesi.
“L’emendamento è una questione volontaria. In Internet non esiste la sicurezza che l’informazione sia certa”, assicura l’eurodeputata socialista María Badía che ritiene che “l’eccesso d’informazione” è una delle cause che promuovono l’intossicazione della Rete. Quindi, costituire un censimento volontario dei blogger può generare un effetto di fiducia nel lettore: “siccome abbiamo un eccesso d’informazione, si cerca di garantire che gli utenti possano sapere chi sono le fonti”, sostiene Badía che sottolinea che tale rapporto è stato presentato da Marianne Mikko, parlamentare europea estone. La nazionalità della Mikko può essere una delle chiavi per comprendere l’origine di questa proposta, dal momento che il flusso d’informazioni che si è diffuso tra l’Estonia e la Russia, è sempre stato messo in discussione da ragioni storiche e le loro prolungate crisi diplomatiche.
Era effettivamente giugno, ma sull’anno ti sbagli perché ricorreva il 2008, non il 2010 😉
Quel testo dice semplicemente che i blogger dovrebbero mettere i propri dati autentici sulla pagina apposita (About o Chi siamo che sia) in modo da essere rintracciabili da chiunque. Tutto qua: non è ne’ una fedina penale (come diceva Nicola di spaziodigitale, ma è una sciocchezza enorme e a suo tempo glielo feci pure notare) e non è nemmeno una censura perché non vieta e non obbliga nulla. Dunque il discorso che fai in questo contesto è inutile e controverso anche solo per le nazioni che citi, Estonia e Russia, due veri esempi di democrazia internazionale.
Per tornare al merito del ddl, andrebbe detto che nel nostro paese esiste già una norma che tutela la diffamazione, quindi non vedo perché si deve estendere una legge fatta per la stampa – decaduta con l’ultimo cambiamento del ddl – anche, anzi, SOLO per i blogger. E per favore smettiamola di dire che i blog non sono attendibili perché non si documentano. Nella maggior parte dei casi sono notizie prese dai giornali o da lanci di agenzia, quindi eventualmente non saranno attendibili i giornali, non i blog di cui citano la fonte.
Spero di essere stato chiaro fin qui
Tanto per rimanere in tema, anche senza questa legge succedono cose del genere:
Non aveva idea del guaio in cui si stava cacciando. Quando Stefano Zanetti aprì un blog non poteva certo immaginare che tre anni dopo quella paginetta elettronica sarebbe diventata così importante da meritare un sequestro giudiziario. Aveva cominciato a scrivere on line come facciamo tutti: senza impegno, un po’ per gioco, un po’ per togliersi dalle scarpe quei sassolini raccolti sul luogo di lavoro. Nel suo caso i sassolini si erano accumulati nelle aule di tribunale: Zanetti, sociologo, lavora in una comunità terapeutica che si occupa di reinserimento dei detenuti.
I guai cominciano nell’estate del 2007, quando gli italiani apprendono sbalorditi che nella cittadina di Rignano Flaminio operava una setta pedofila costituita per lo più da maestre di scuola dell’infanzia, un benzinaio cingalese e un autore televisivo. In tv e sui giornali si parla di filmati e altre prove schiaccianti che inchioderebbero i sospettati: nel frattempo su blog e forum l’indignazione degli utenti prende le forme del linciaggio verbale. L’idea generale è che accuse così gravi non possono essere state inventate: soprattutto se sono basate su testimonianze di bambini, che “non mentono mai”.
Zanetti ha un altro parere. Il caso di Rignano gli sembra curiosamente simile a quello scoppiato qualche anno prima in due scuole materne di Brescia, dove dopo un lungo iter giudiziario le maestre indagate erano state tutte prosciolte (l’assoluzione definitiva della Cassazione per tutti gli indagati della scuola Sorelli è arrivata soltanto due mesi fa). Una semplice ricerca su internet lo porta a scoprire il trait d’union tra i due casi: la presenza di un’associazione di “lotta alla pedofilia”, la Prometeo, che aveva offerto un servizio di consulenza ai genitori dei bambini sia a Brescia che a Rignano Flaminio. La Prometeo s’ispira esplicitamente alle teorie del controverso criminologo britannico Ray Wyre, fermamente persuaso dell’esistenza di una lobby pedofila internazionale dedita ad abusi satanici rituali. Per i suoi detrattori Wyre (scomparso nel 2008) ha importato in Gran Bretagna quella psicosi collettiva nota come “Satanic panic” o “satanic ritual abuse hoax” (“la bufala degli abusi satanici rituali”), che negli anni ’80 divampò negli USA, provocando lunghissime inchieste che si conclusero sconfessando i teorici del satanismo pedofilo. Fuori dagli USA però la psicosi continua.
Zanetti scopre inoltre che il fondatore e presidente di Prometeo, Massimiliano Frassi, ha un blog, proprio come lui. Anche Frassi lo intende come un luogo di sfogo; salvo che la sua frustrazione è quella di un uomo impegnato in una lotta impari, accerchiato da una lobby mondiale di pedofili decisa a rendere vano ogni suo sforzo. E di conseguenza, nel blog, non va tanto per il sottile, anzi. Testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione “cinici”), e immagini tratte dai film dell’orrore (vampiri, zombies, eccetera). Addirittura Frassi non si fa scrupolo a pubblicare le foto di indagati, senza nessuna preoccupazione per la loro privacy, e ad accostare arbitrariamente immagini choc di bambini feriti e abusati, che non sono esibite come prove (né a Brescia né a Rignano Flaminio sono mai state scattate foto del genere), ma sono funzionali a inorridire il lettore, a commuoverlo e infuriarlo. In tanti anni di assidua frequentazione di Internet non mi era mai capitato di vedere foto di bambini lividi e sanguinanti, prima di capitare in questo blog di “lotta alla pedofilia” che mira allo stomaco, più che al cervello del lettore.
Dal 2007 in poi siamo stati tanti ad occuparci del “caso” Frassi, che è anche un esempio di come si può usare il blog come cassa di risonanza: mentre il sito ufficiale dell’associazione Prometeo ha un approccio più diplomatico, il blog di Frassi è definito dal suo stesso autore un “bar”, dove tutto è consentito: immagini choc, l’attacco diretto e indiretto agli avversari, le minacce e gli sfottò, la presunzione di colpevolezza nei confronti di qualsiasi indagato (e anche di alcuni assolti). È il caso delle due suore Orsoline accusate di aver commesso abusi sessuali tra il 1999 e il 2000 in un asilo del bergamasco: anche in quel caso i genitori, prima di sporgere denuncia, si erano avvalsi della consulenza della Prometeo. Condannate in primo grado, le due religiose sono poi state assolte in Appello con formula piena: ma nel blog di Frassi i loro nomi e le loro foto sono ancora archiviate alla voce “Suore Pedofile Bergamo”. Eppure, malgrado i casi di Brescia e Bergamo si siano risolti, dopo molti anni e molte sofferenze, con assoluzioni, Frassi continua a essere invitato a trasmissioni tv in quanto esperto di pedofilia, e a procedere sul doppio binario di serio consulente e di agitatore telematico. Siamo stati in tanti a lanciare l’allarme, ma Zanetti sui blog è stato il primo. Senza di lui ci avremmo messo molto più tempo ad accorgercene. Nel frattempo però il suo blog non c’è più. Un GIP ha ottenuto dal gestore americano (Google) la rimozione (anzi, il “sequestro”) preventivo dell’intero sito, in attesa che sia dimostrato in sede processuale che alcuni suoi articoli offendono la reputazione di Frassi.
In questa storia, per ora, ci perdono tutti. Zanetti ha perso un luogo dove sfogarsi, e la reputazione di Frassi non ha ottenuto alcun miglioramento: i blog che lo criticano per i suoi modi e i suoi metodi sono tanti, e non si possono sequestrare tutti. Io poi ho una teoria: quello più offensivo nei confronti della sua reputazione, quello più urlato, più volgare, quello che contiene le immagini più violente e censurabili… è ancora il suo.
Caro Giacomo, è la questione ad essere molto semplice: i blog sono (anche) dei diari personali e se uno si sente offeso da qualsivoglia cosa un blogger abbia scritto è corretto che questo ne chieda la rettifica.
Possiamo discutere sulle ore: 48 o più.
Possiamo discutere anche sulle sanzioni, ovvero, se si tratta di un blog di informazione che questo sia iscritto direttamente all’albo dei giornalisti e ne risponda in solido l’Ordine.
Gestisco un blog senza peli sulla lingua da sei onorati anni: non temo alcunché da questo tipo di normativa che, tutt’alpiù, andrebbe solo migliorata anche in senso più vantaggioso per gli stessi blogger che si occupano di comunicazione e che avrebbero tutto i diritto – costituzionale – di vedersi riconosciuti quali organi di informazione. E visto che in Italia esistono gli Ordini, che questi siano a favore degli stessi operatori della comunicazione (e non della sola “casta dei giornalisti”). E visto che c’è anche un finanziamento dell’editoria che i blogger della comunicazione si becchino pure i soldi con i quali pagare eventuali querele.
In Italia la libertà di informazione non è negata da nessuno. C’è, forse e purtroppo, troppa libertà di de-formazione, la quale ha portato troppe persone a vedersi stroncata per sempre la reputazione e la carriera. Ingiustamente.
Ma io posso anche essere d’accordo sulla rettifica (cosa che tra l’altro si fa già da anni), ma non sono minimamente d’accordo sulla tempistica – 48 ore sono una pia illusione se il blog non è aggiornato quotidianamente – e sulla multa di 12500€ max che sono esageratamente troppi.
Poi, se il blog è d’informazione, dunque iscritto all’albo, rientra automaticamente nelle testate giornalistiche e quindi con una disciplina soggetta a termini diversi, per cui già di suo è assolutamente diverso dal semplice bloggerino per gli scazzi che si fanno i ragazzi oggigiorno; secondariamente, e lo ripeto ancora una volta, perché devo per forza iscrivermi a qualche autorità o ente corporativo se non me ne frega assolutamente nulla di fare giornalismo, in quel modo, ma dico a modo mio solo quello che penso?
Si sta facendo in modo di far diventare tutt’uno blog e giornali online, cosa che non sta in cielo e ne’ in terra. Se scrivo qualcosa di falso o diffamante, c’è già una legge che mi punisce, a che serve farne un’altra così autoritaria e diversa dalle vere esigenze della rete…
Ciò che penso è che questa legge mi vuole obbligare a diventare un numero in una corporazione che mi sta sulle balle solo perché esiste. Non mi va nel modo più assoluto, e se anche potrei essere d’accordo sulle multe per chi non rettifica – entro termini decenti, non dementi come questi – non lo sono se per essere rintracciabile devono schedarmi in un organo precostituito, come dici tu, dalla Casta.
Io sono del parere che di libertà di stampa ne abbiamo a iosa, ma in quanto a libertà d’informazione siamo messi davvero male (basti vedere i Tg uniformati o i giornali che non vanno oltre certe soglie), e se ti fai un giro in rete la libertà di de-formazione che contesti è a scapito dei blog e a vantaggio dei giornali: quanti sono ogni giorno i blog querelati e quanti, invece, i giornali che scrivono scemenze ma la passano liscia solo perché potenti…
Per quanto riguarda il mio presunto diritto costituzionale di essere riconosciuto come comunicatore, al massimo mi interessa sapere che non ci sia una legge che mi perseguita dandomi meno libertà dei giornalisti, i quali fanno molto più danno di me e spesso vanno a convegni e festicciole perché hanno scritto di tizio e caio che ha fatto le corna alla moglie con la segretaria. Senza manco averla ‘sta segretaria…
Non mi pare che la legge in questione sia autoritaria in sé.
Andrebbe solo opportunamente modificata.
Non comprendo tutto questo “cancan” mediatico visto che, nei fatti, non vi è alcun bavaglio.
E se blog sono stati chiusi, come quello di Zanetti di cui sopra, lo si è fatto ancor prima di normative del genere.
Ad ogni modo se un blogger si vuole equiparare ad un giornalista ha tutto da guadagnarci: posto che gli vengano riconosciuti e di diritto i benefici del caso: tutela dell’Ordine e finanziamento pubblico dell’editoria.
Quanto all’informazione, essa è una pia illusione.
Nessuno può dire di essere mai realmente informato a meno che non osservi con i suoi stessi occhi.
In questo senso, i giornali ed i blog, non sono che solo uno specchio “deformato” nel quale è possibile, solamente, tentare (senza pur riuscirvi) di formarsi una qualche approssimata idea sui fatti.
In questo senso la letteratura è emancipatrice, il giornalismo è il suo esatto opposto.
Il giornalista tenta di mostrarti ciò che i suoi occhi vedono, credono di vedere oppure vogliono che tu veda.
Lo scrittore, diversamente, ti trasmette gli strumenti affinché tu possa vedere con i tuoi occhi, farti un’idea per mezzo del tuo intelletto, della tua interiorità.
Senza queste premesse si discute semplicemente di aria fritta.
E non è vero che i blog sono più querelati, per quanto in Italia viga la querela facile (ed inutile).
Nel mondo della carta stampata sono innumerevoli i casi di querela. Pensiamo alle querele ricevute da Feltri, Sgarbi, La Repubblica, l’Unità e molte, molte altre testate o trasmissioni televisive.
Alcune a proposito, altre a sproposito e così via sino ad aver intasato completmente la già intasata giustizia.