L’Espresso pubblica una bozza del libretto che il Governo invierà a settembre a tutte le famiglie italiane, rivendicando quanto di buono fatto in questi primi due anni di mandato. Berlusconi praticamente dirà cosa ha fatto il Governo… secondo il Governo.
L’economista Tito Boeri confronta la propaganda berlusconiana con la realtà dei fatti. E i fatti sono leggermente diversi.
“NON ABBIAMO AUMENTATO LE TASSE”
Ci mancava altro. In un periodo di crisi tutti i Governi si sforzano di abbassare le tasse o aumentare le spese per contenere la caduta del reddito. Il Governo ha comunque contravvenuto non solo alla promessa fatta in campagna elettorale di ridurre le tasse, ma anche a quella di non introdurre nuovi balzelli, mettendo in mostra notevole creatività nell’introdurre una serie di nuovi prelievi. Dalla Robin tax alla “porno tax”, alle tasse sui giochi , fino alla nuova tassa piatta, cedolare secca, sugli affitti. Bene rimarcare che tutto è avvenuto all’insegna della redistribuzione dai poveri ai ricchi, dai cittadini ai partiti. Le entrate della Robin tax sono andate a finanziare gli organi di partito. La cedolare secca sugli affitti, l’ultima arrivata, sostituirà una tassa progressiva (che tassa proporzionalmente di più chi ha redditi più alti) con una aliquota costante, uguale a tutti i livelli di reddito. L’ICI sulla prima casa abolita a inizio legislatura era quella che gravava sulle famiglie con immobili di maggiore valore. Insomma, un trasferimento dai ceti medi ai più ricchi. Un Robin Hood che opera scrupolosamente al contrario.
“IL PESO DELLO STATO SI E’ RIDOTTO”
Non si direbbe a giudicare dall’andamento della pressione fiscale, cresciuta dal 42,9 del 2008 al 43,2 per cento del 2009, come certifica l’ultima Relazione Unificata dell’Economia e Finanza Pubblica. Consapevole di questo fatto, il Ministro Tremonti in una recente intervista sul Sole24ore ha sostenuto che la pressione fiscale è aumentata perché è diminuito il pil. In realtà anche le entrate calano insieme al prodotto in un rapporto pressoché di uno a uno, quindi la pressione fiscale (il rapporto fra entrate fiscali e prodotto interno lordo) sarebbe dovuta rimanere almeno invariata. E un terzo della manovra appena varata consiste in incrementi delle entrate, anziché riduzioni della spesa pubblica. Ma il peso dello Stato non si è ridotto soprattutto perché la spesa pubblica in rapporto al reddito generato ha continuato a crescere. 34 miliardi in più nel 2009. Vero che la manovra appena varata contempla riduzioni di spesa. Ma saranno soprattutto a carico degli enti locali che hanno ampiamente mostrato in questi anni di ignorare i vincoli posti dal Governo. Le sanzioni per gli sforamenti sono troppo blande. I commissari delle Regioni che non rispettano i vincoli sono gli stessi Governatori in carica. Come dire che non c’è sanzione politica. Nel frattempo il debito degli enti locali continua a salire. Quello dei Comuni e delle Province ha raggiunto la cifra record di 62 miliardi, più di mille euro a cittadino. Nessuna traccia della riduzione del numero delle Province. E i tagli alla politica, tanto sbandierati sui media, si sono rivelati ben misera cosa. Tagli del 3,5 per cento agli stipendi dei parlamentari. Porteranno a circa 10 milioni di risparmi su di una manovra di quasi 25 miliardi. SI E’
“SI E’ CONTRASTATA L’EVASIONE FISCALE”
Anche su questo terreno ci sono state virate a 180 gradi nell’azione di governo. Utili i ravvedimenti, meglio ancora se onerosi, vale a dire accompagnati da una autocritica. Purtroppo l’autocritica in questo caso non c’è stata. Peccato perché avrebbe dato un segnale di rottura col passato. E non è facile per un Governo che in questa legislatura ha varato l’ennesimo condono, lo scudo fiscale, guadagnarsi credibilità nel contrasto all’evasione se non da un forte segnale di svolta. L’inizio della legislatura è stato caratterizzato da un’operazione di sistematico smantellamento, presentato come “semplificazione”, di un insieme di strumenti, che potevano permettere all’amministrazione finanziaria di ottenere, per via telematica, informazioni utili ai fini del contrasto all’evasione. È stato, ad esempio, soppresso l’obbligo di allegare alla dichiarazione Iva gli elenchi clienti/fornitori, sono state abolite le limitazioni nell’uso di contanti e di assegni, la tracciabilità dei pagamenti, la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati ed è stato soppresso l’obbligo di comunicazione preventiva per compensare crediti di imposta superiori ai 10mila euro. Salvo poi ritornare sui propri passi. La manovra appena varata ha, infatti, ripristinato la tracciabilità, anche se solo per transazioni superiori ai 3.000 euro. Il problema è che il Governo ha abbassato pericolosamente la guardia riducendo i controlli contro l’evasione fiscale e contributiva. Un esempio? Durante la passata legislatura gli Ispettorati del Lavoro erano stati potenziati, con l’assunzione di quasi 1500 ispettori. Tuttavia nel 2009 il numero di controlli sui posti di lavoro si è ridotto del 7%, come ammesso dal Ministro Sacconi nella sua audizione alla Camera il 29 aprile scorso. Il risultato è che nel 2009 il lavoro irregolare, quello che non paga tasse e contributi sociali, è ulteriormente aumentato secondo l’Istat, sorprendentemente anche nell’industria dove era fortemente calato negli anni precedenti. Non ingannino i dati sull’attività ispettiva diramati dall’Agenzia delle Entrate. Se aumentano le somme oggetto di accertamenti a fronte di minori controlli, ciò significa che l’evasione media è aumentata. Un risultato di cui c’è poco da essere orgogliosi.
“NON ABBIAMO LASCIATO INDIETRO NESSUNO”
Il Governo non ha varato la riforma degli ammortizzatori sociali, lasciando decadere la delega ereditata dalla legislatura precedente. Questa riforma avrebbe permesso di contenere la povertà che, durante le recessioni, aumenta soprattutto tra chi perde il lavoro. Il Governo ha, invece, proceduto con una serie di interventi frammentari, temporanei e per lo più propagandistici. I titoli di testa dei TG sono andati alla carta acquisti passata alla storia come “social card” forse perché doveva essere erogata da Robin Hood che, come si è visto, ha invece preferito finanziare gli organi di partito. La social card sembrava essere concepita in modo tale da escludere i maggiormente bisognosi. I destinatari potevano essere solo famiglie povere con almeno un bambino con meno di tre anni oppure con capofamiglia con più 65 anni. Inutile sottolineare che le persone maggiormente bisognose di aiuto spesso non soddisfano questi requisiti. Ad esempio nessuna delle persone senza fissa dimora, censite a Milano nel gennaio 2008, aveva figli così piccoli o più di 65 anni (difficilmente i senza casa sopravvivono così a lungo). Che fosse solo un’operazione propagandistica lo si capisce dallo stesso libretto, se lo si legge con cura. Recita testualmente “dal febbraio 2010 gli enti locali possono partecipare al finanziamento”. Significa che la social card è stata posta a carico dei Comuni. Peccato che i poveri siano concentrati nelle aree del Paese in cui i Comuni hanno meno risorse a disposizione e che la manovra appena varata abbia ridotto di due miliardi e mezzo i fondi dei Comuni. Come ammette lo stesso documento sono solo due (su più di 8000) i Comuni che hanno fruito di questa “opportunità”: Alessandria e Cassola
“A FIANCO DELLA FAMIGLIA”
A parte gli interventi estemporanei, una tantum, social card, bonus famiglia e prestito per i nuovi nati, il Governo ha di fatto varato una serie di misure che hanno reso più difficile la conciliazione fra lavoro e responsabilità famigliari, dunque la partecipazione femminile. I tagli all’organico del corpo docente della scuola secondaria, prevalentemente femminile, e l’introduzione del maestro prevalente, hanno reso più difficile il mantenimento dell’orario a tempo pieno. Anche la detassazione degli straordinari, misura anacronistica in tempo di crisi e per fortuna abbandonata a fine 2008, non favoriva certo le donne con figli piccoli, giovani e anziani, spingendo semmai i loro mariti a lavorare più lungo.
“RIPARTE L’EDILIZIA, RIPARTE L’ECONOMIA”
Dal giugno 2008 il governo ha annunciato ben quattro iniziative nel settore dell’edilizia residenziale, tutte etichettate come piani casa, anche se la loro finalità non è l’aumento dell’offerta di alloggi per le famiglie più deboli, l’obiettivo dei piani del passato. Sin qui non è stata ancora posata la prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa. Nessun intervento anche sull’edilizia scolastica. Non c’è stata sin qui neanche l’anagrafe promessa a più riprese. Forse perché i primi dati erano davvero allarmanti. A quanto risulta, dei 43 mila edifici scolastici esistenti,solo un terzo è stato costruito negli ultimi trenta anni! Più di mille sono stati costruiti prima dell’Ottocento e più di tremila tra il 1800 e il 1920. Di quasi 7mila edifici non si sa neanche la data di costruzione. Dopo il 1990 solo il 22% delle strutture è stato ristrutturato. I numeri di queste anticipazioni sono semplicemente inaccettabili. Non si può morire schiacciati dal cedimento di un soffitto in un’aula di lezione come a Rivoli e come ieri poteva capitare in una scuola materna a Verona.
“ABBIAMO DIFESO I LAVORATORI”
Il Governo ha esteso il grado di copertura della Cassa Integrazione Guadagni con interventi “in deroga”, decisi discrezionalmente dalla politica. Queste estensioni sono servite nell’emergenza a contenere l’emorragia di posti di lavoro, inducendo le imprese a ridurre gli orari anzichà tagliari gli organici. Bene. Ma sono state introdotte ulteriori asimmetrie di trattamento fra lavoratori di imprese diverse. E questi interventi d’emergenza ci lasciano in eredità uno strumento, la Cassa in deroga, che sarà molto difficile ridimensionare dopo la crisi. In effetti le ore di Cassa in deroga continuano ad aumentare. Gli interventi in deroga hanno ormai superato in dimensione gli interventi ordinari. Un paradosso che la dice lunga sul navigare a vista con cui si è gestita la politica del lavoro. Il fatto è che i datori di lavoro sono del tutto deresponsabilizzati dagli interventi in deroga; non pagano nulla per fruirne. Sta diventando una specie di sussidio per le imprese che hanno maggiori agganci con la politica. I lavoratori maggiormente colpiti dalla crisi sono stati, comunque, i lavoratori precari che in genere non hanno accesso né alla Cassa Integrazione né ai sussidi ordinari di disoccupazione. Tra quel milione di posti di lavoro distrutti dall’inizio della crisi, nove su dieci sono lavoratori precari, con contratti a tempo determinato, collaborazioni a progetto o impieghi saltuari nella giungla del parasubordinato. Quasi un lavoratore temporaneo su sei ha perso il lavoro. Il Governo non ha fatto nulla per affrontare il nodo del dualismo del nostro mercato del lavoro. Nel Libro bianco del maggio 2009 aveva annunciato uno Statuto dei Lavori, poi rinviato a “dopo le elezioni regionali”, e infine differito “alla fine del 2010”. Speriamo ora non venga rimandato a dopo le elezioni politiche.
“VOLA LA NUOVA ALITALIA”
Era stata la grande protagonista della campagna elettorale del 2008. E il libretto ora rivendica la scelta di Berlusconi di opporsi alla “svendita” di Alitalia ad Air-France Klm in nome dell’italianità. Ma la soluzione adottata una volta al governo, è molto peggiore di quella ostacolata due anni fa: il contribuente si è dovuto accollare circa 3 miliardi di debiti che sarebbero stati rilevati da Af-Klm. E dal punto di vista dei viaggiatori, la fusione tra Alitalia e Airone ha creato situazioni di monopolio su molte rotte interne, inclusa quella strategica tra Linate e Fiumicino. Tant’è che, per consentire il completamento dell’operazione, il governo ha sospeso i poteri dell’Antitrust nel valutare l’operazione.
“PIU’ LIBERTA'”
Il quesito ovvio è: per chi? Forse c’è stata più libertà per i monopolisti. Il Governo ha infatti perseguito una sapiente strategia per depotenziare le autorità di regolamentazione dei mercati. Il gioco delle nomine serve in un colpo solo a impedire un rinnovo di peso alla Consob dopo la gestione Cardia (che aveva difeso le società quotate da potenziali scalate) e a delegittimare l’Antitrust. Non stupisce perciò che sul piano delle liberalizzazioni questa legislatura sia avvenuta sin qui all’insegna della restaurazione delle restrizioni alla concorrenza negli ordini professionali dopo le “lenzuolate” di Bersani. L’esempio più lampante è quello della riforma dell’avvocatura che reintroduce le tariffe minime, “inderogabili e vincolanti”. Vengono vietati accordi fra cliente e avvocato che prevedano il pagamento di una parcella solo nel caso che la causa sia vinta (contingency fees), la pubblicità che permette a giovani avvocati di competere sul prezzo con chi è già ben avviato viene fortemente limitata. Viene ampliata la riserva di attività degli avvocati nel campo della consulenza legale e nelle procedure arbitrali. L’esame di abilitazione diviene più oneroso, così come le condizioni di praticantato, senza riconoscere ai praticanti nessun diritto di compenso. Si ribadisce il divieto di esercitare l’attività organizzandosi in società di capitali. Nelle intenzioni del ministro della Giustizia Alfano, questo approccio sarà applicato a tutte le categorie di professionisti entro la fine della legislatura. C’è di che rabbrividire.
“PIU’ SVILUPPO, PIU’ FORZA ALLE IMPRESE”
L’abolizione di fatto del Ministero dello Sviluppo Economico, tuttora vacante e progressivamente spogliato delle sue competenze, è l’emblema dell’assenza di una politica per lo sviluppo. Un Governo coi numeri di cui disponeva doveva varare già prima dello scoppio della crisi, un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Si sarebbe trattato di misure spesso dal costo nullo per l’erario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di tutto ciò. Nel libretto c’è un lungo elenco di microincentivi introdotti allo scopo di prendere tempo, di mostrare di non stare con le mani in mano, piuttosto che sostenere l’economia. Molti di questi interventi erano sotto finanziati, dunque prevedevano meccanismi di razionamento di tipo sovietico per le imprese che avessero fatta domanda. L’esempio più classico è quello dei click day: I fondi venivano concessi ai primi in grado, nella data fatidica, di essere connessi a internet e di cliccare. Forse ha premiato gli insonni, oppure le lobby di internauti, gruppi organizzati nell’occupare lo spazio virtuale. Ma anche se fosse stato un metodo di razionamento del tutto casuale, in cui tutti a priori hanno la stessa probabilità di ricevere l’aiuto, sarebbe stato altamente inefficiente. Meglio dare a chi ha maggiore bisogno con meccanismi di razionamento tipo aste o beauty context. Ancora meglio finanziare in modo adeguato pochi interventi ritenuti prioritari senza ricorrere al razionamento. Il fatto è che le imprese, per investire, hanno bisogno di certezze. I click day servono solo per aumentare l’incertezza. Ma per definire delle priorità bisogna saper fare delle scelte di politica economica. Di questo il Governo è stato sin qui incapace. Il suo merito e insieme demerito è quello di non aver operato alcuna scelta. Certo, ci ha evitato gravi errori. Basterà per convincere gli italiani che avevano giustamente punito il governo Prodi per il suo immobilismo? Alle urne l’ardua sentenza.
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Articolo abbastanza improprio, visto che la coalizione di governo precedente, di cui il Pd era ed è il capostipite, non ha saputo fare di meglio ed ancora oggi non da alcuna risposta concreta.
Intanto il povero Cossiga è morto. L’unico che, negli ultimi diciotto anni, non aveva paura di dire ciò che pensava e soprattutto di dire sempre le cose come stavano.
Mi è sembrato molto lucido il tuo commento fino alla frase “Intanto il povero Cossiga è morto”. Da quel momento ho iniziato a ridere come un pazzo.
Responsabile dell’organizzazione militare clandestina Gladio quando era sottosegretario alla difesa; ministro degli interni ai tempi della morte di Giorgiana Masi (nel corso degli scontri tra studenti e forze dell’ordine nella zona universitaria di Bologna nel ’77: ti ricordi come lo scrivevano il suo nome, vero?) e del sequestro Moro (promotore della linea della fermezza con cui ha ucciso Moro); la strage alla stazione di Bologna disse che era stata una mal funzionante bomba di un terrorista palestinese di passaggio; messo in stato d’accusa nel 1980 – ritenuta infondata dal Parlamento – per aver avvisato Donat Cattin che la magistratura indagava sul figlio e consigliandolo per la fuga all’estero (vent’anni dopo, quindi con reato prescritto, Cossiga ha ammesso tale tesi); profondo conoscitore dei fatti di Ustica, piazza Fontana e dei servizi deviati.
E’ stato il presidente della Repubblica più giovane ed eterodosso di tutti i tempi (fu un caso rarissimo di capo dello Stato che ricomincia a fare politica dopo la fine del suo mandato); il sostegno accordato al governo D’Alema per fare in modo che anche il primo governo comunista italiano (o post-comunista, dato che era caduto il muro di Berlino) si coalizzasse col patto atlantico e trasformasse la campagna pacifica in Kossovo in una strage.
Assolutamente squilibrate le sue ultime uscite – durante le manifestazioni studentesche contro il governo dello scorso anno, rivolgendosi a Berlusconi gli consigliò: “Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”, confermando di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell’Interno – e assolutamente demenziali le sue affermazioni al momento di dare fiducia ai vari governi della cosiddetta “seconda Repubblica”.
Sicché, caro Luca, di Cossiga tutto si può dire ma certamente non che era un “povero”, dato che assieme ad Andreotti è stato il maggior responsabile del degenere repubblicano dal dopoguerra ad oggi. L’unica cosa che mi dispiace è che non abbia lasciato un testamento in cui spiega tutte le attività criminali perpetrate dai governi Dc negli anni ’50, ’60, 70, ’80 e parte dei ’90.
Si dice che avrebbe lasciato 4 lettere per Napolitano, Schifani, Berlusconi e Fini: speriamo siano rese pubbliche almeno quelle.
Ti do atto solo sulla povera Giorgiana Masi, le cui responsabilità, per molti versi, gli possono essere attribuite.
Su tutto il resto sono io a ridere.
Gladio era necessaria ad evitare la “sovietizzazione” del Paese. E’ ovvio che desse fastidio ai comunisti.
Su Moro, Cossiga, fu l’unico a pentirsi relativamente alla linea della fermezza imposta dalla Dc e dal Pci.
Se ne pentì tanto dal non riprendersi mai più psicologicamente.
Anche sulla strage di Bologna ne sapeva ben più di tanti altri, ammettendo l’innocenza di Fioravanti e della Mambro, come invece sarebbe piaciuto alla “gauche au caviar”, che giunse ad accusare persino la P2.
Fu poi l’unico che intuì la necessità di rompere le uova nel paniere al nazicomunista Milosevich (amico, in italia, di Cossutta & Bossi) e quindi fece in modo che proprio un ex bombarolo comunista come D’Alema divenisse presidente del consiglio e giudasse l’Italia in quella necessaria avventura atlantica.
Nel ’92-’93, peraltro, non la mandò a dire non solo alla partitocrazia, ma finanche a quei magistrati politicizzati che stavano organizzando l’unico golpe che riuscì in Italia (e non identificato come golpe in quanto proveniente da….”sinistra”).
Assolutamente esagerate le sue uscite, talvolta, ma sempre senza peli sulla lingua. Come è raro in un Paese di codardi e pecoroni come il nostro.
Codardi che forse si meritarono anche certo “malaffare” (che purtuttavia evitò loro di lasciarsi inculare dai sovietici) e che pressoché sicuramente si meritano la classe dirigente incolta e beota di oggi.
L’unica cosa che mi dispiace è che chi si dichiara oggi “democratico”, sia diretto erede di quel Fronte tutt’altro che democratico, che proprio quei Dc, assieme ai laici, contribuirono a sconfiggere.
E che ci regalarono la libertà di oggi. Anche di dire fesserie.
Dato che ti scaldi tanto, Cossiga non era “senza peli sulla lingua” quando si trattava di Gladio tenendosi tutto per sé andando contro le regole parlamentari italiane, e visto che ci sei, informati su “La versione di K” il suo libro dove conferma le cose che neghi.
Tanto per essere liberi di dire fesserie
Tanto per essere liberi, infatti.
Anche grazie a quei servizi segreti.