Farsi notare

Nei governi dei paesi occidentali, specie in quelli che per dimensioni e influenza aspirano a giocare un ruolo importante nelle relazioni internazionali, il ministro degli esteri è il membro di governo più rilevante dopo il primo ministro o il presidente. È così negli Stati Uniti, dove il segretario di stato è ben più importante del vice presidente, ed è così anche in diversi paesi europei: si pensi alla rilevanza dell’ex ministro degli esteri Kouchner nell’ultimo governo francese o a come nella coalizione che oggi governa la Germania il primo partito abbia la cancelleria – Angela Merkel, della CDU – e il secondo partito abbia proprio il ministero degli esteri, col leader liberale Guido Westervelle. Ma non serve nemmeno andare troppo lontano: nel corso dell’ultimo governo di centrosinistra, Massimo D’Alema da ministro degli esteri ottenne rilevanza e visibilità attraverso un’attività di governo efficace e incisiva sul piano internazionale (si pensi alla risoluzione della crisi in Libano, per esempio).

Quando in Italia ha governato il centrodestra, ora o nella legislatura dal 2001 al 2006, le cose sono andate diversamente. La circostanza ci è stata ricordata di recente da uno dei rapporti diplomatici diffusi da Wikileaks, nel quale l’allora ambasciatore statunitense in Italia, Ronald Spogli, commentava laconicamente l’influenza e la rilevanza del ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, nell’elaborazione della politica estera del paese. Sul rapporto si legge che Berlusconi “rifiuta costantemente i consigli del suo ministro degli esteri, sempre più irrilevante, demoralizzato e privo di risorse”.

Parliamo di Franco Frattini, quindi: primi anni di militanza politica nel partito socialista, mette il piede in tutti i governi dal 1994 a oggi, esclusi i due di centrosinistra. Fa il ministro della funzione pubblica nel primo governo Berlusconi e il ministro degli affari regionali nel governo Dini. Quando Berlusconi torna al governo, nel 2001, il ministro degli esteri che sceglie è Renato Ruggiero, illustre diplomatico di tradizione liberale. Che infatti dura poco: giura a giugno e a gennaio si è già dimesso. Berlusconi assume l’interim e dieci mesi dopo decide di nominare ministro degli esteri Franco Frattini. Sono gli anni più caldi e cruciali della politica estera mondiale dalla fine della guerra fredda: l’11 settembre, la guerra in Afghanistan, il terrorismo internazionale, l’imminente invasione dell’Iraq. Del Frattini di quegli anni non ci si ricorda nulla. Anzi, una cosa sì: una legge. Che veniva chiamata, appunto, legge Frattini. E non ha niente a che fare con la politica estera, trattandosi di una legislazione sul conflitto di interessi – tiepidissima e molto criticata dalle istituzioni europee.

Nel 2004 il governo Berlusconi è nei pasticci: Alleanza Nazionale e UdC sono sempre più nervose e pretendono un cambio di rotta nell’esecutivo, che giudicano eccessivamente schiacciato sulle posizioni della Lega e di Tremonti (vi ricorda qualcosa?). Nel giro di pochi mesi saltano due poltrone: quella dello stesso Tremonti, politicamente insostenibile, e quella di Franco Frattini, che viene data a Gianfranco Fini. L’Italia cambia di nuovo ministro degli esteri, due anni dopo l’insediamento di Frattini e in uno dei momenti più delicati della storia recente delle relazioni internazionali.

Frattini va a fare il commissario europeo e quando nel 2008 Berlusconi vince di nuovo le elezioni, viene richiamato a prendere il posto di ministro degli esteri. Il tutto con la consueta irrilevanza. Nell’estate del 2008 la Russia invade la Georgia: muoiono 2000 persone in cinque giorni, nel mondo si parla di una nuova guerra fredda, le diplomazie internazionali lavorano freneticamente per fermare il conflitto, i ministri degli esteri europei si riuniscono d’urgenza. Frattini nel frattempo è in vacanza alle Maldive, e ci rimane: alle riunioni manda il suo vice. Meno di sei mesi dopo, Israele comincia l’operazione Piombo Fuso: invade e bombarda la Striscia di Gaza, accusando Hamas di aver rotto la tregua con i razzi Qassam lanciati nel sud di Israele. Anche stavolta si mobilitano le diplomazie di tutto il mondo. Frattini è di nuovo in vacanza, stavolta a sciare. Nessuna riunione, nessun vertice, nessuna missione. Quando il Tg1 va per intervistarlo, lui si fa riprendere dentro uno chalet, in tuta da neve e col naso unto di crema solare. Parliamo delle due crisi internazionali più gravi degli ultimi due anni: Frattini le ha passate entrambe in vacanza.

Franco Frattini ha fatto il ministro degli esteri per quattro anni e mezzo. Di lui non ci si ricorda nessuna iniziativa politica degna di questo nome. In compenso si potrebbe scrivere un libro con le sue dichiarazioni, le sue battute, meglio se tronfie, roboanti e inutili. Per restare su quelle recenti, un anno fa disse di considerare “suggestiva” l’ipotesi di mettere un crocifisso nella bandiera italiana. A maggio se la prese con Amnesty International, definendo “indegne” le accuse della ong riguardo le espulsioni degli immigrati. Due mesi fa ha detto all’Osservatore Romano che l’ateismo è un “fenomeno perverso” che “minaccia la società al pari dell’estremismo”. Mentre le diplomazie di tutto il mondo affrontavano la grana Wikileaks tentando di minimizzare, di mostrarsi solidi, tranquilli e per nulla indeboliti, Frattini strepitava: prima parlava di «11 settembre della democrazia» e poi, dopo che il suo capo aveva detto invece di essersi semplicemente fatto una risata, diceva che Assange «vuole distruggere il mondo». Cosa si è costretti a fare, per farsi notare un po’.

[Via Il Post]

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