La relazione del neo segretario regionale del PD FVG Renzo Travanut

Il risultato elettorale ottenuto dal Partito democratico in Friuli Venezia Giulia alle regionali dello scorso aprile è stato clamoroso. Dopo l’insuccesso delle politiche, gli impressionanti numeri dell’astensione, il boom del Movimento 5 stelle, gli scontri interni al partito in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica e lo scandalo dei rimborsi in Consiglio regionale, nessuno avrebbe potuto realisticamente immaginare un simile risultato.

E invece ce l’abbiamo fatta. Abbiamo vinto. Certo, alcuni fattori hanno giocato a nostro vantaggio, come la presenza della lista Bandelli e l’assenza di Rifondazione comunista, le rinnovate posizioni di alcuni storici esponenti del centrodestra regionale, la crisi interna al Pdl e l’eccessiva sicurezza manifestata da Renzo Tondo in campagna elettorale. Ma tutto ciò, ovviamente, non basta a spiegare una vittoria straordinaria.

Noi abbiamo vinto perché abbiamo presentato un programma coraggioso, contrassegnato da una forte discontinuità con le politiche messe in campo dal centrodestra negli ultimi anni. Un programma che parte da un presupposto fondamentale: il Friuli Venezia Giulia è cambiato; la crisi economica ne sta mutando drasticamente la fisionomia e impone riforme, immediate, profonde e necessariamente condivise, che rendano la nostra regione più moderna ed efficiente, tagliandone al tempo stesso i costi di funzionamento.

E poi abbiamo vinto perché abbiamo presentato una candidata, Debora Serracchiani, contro la quale la campagna “anti straniero”, portata avanti ostinatamente dal centrodestra, non ha funzionato. Ricordo tra l’altro che ce l’abbiamo fatta proponendo non una persona qualunque, ma il nostro segretario, come già accaduto in precedenza a Trieste. Non ci siamo nascosti dietro a nomi forti della società civile, industriali, giornalisti, professori. Ci siamo presentati agli elettori con il volto massimo del nostro partito: una scelta apprezzata, che testimonia come la politica possa, e debba, riprendere a fare il suo mestiere. Dobbiamo ricordarlo, ed esserne orgogliosi.

Ci tengo inoltre ad aggiungere che nemmeno quattro anni di accesi e frequenti scontri con il gruppo consiliare sono riusciti a condizionare il risultato del partito e del suo segretario. Ora il rapporto con il gruppo è cambiato: è un confronto normale, sereno, basato su una piena e fattiva collaborazione. Apparteniamo allo stesso partito e siamo consapevoli che l’interesse e il bene comune devono sempre prevalere sulle singole aree di provenienza o su ambizioni personali.

Con l’elezione a presidente della Regione, l’incarico di segretario regionale di Debora è decaduto. Le ragioni sono, evidentemente, di tipo formale, a differenza di quando avvenuto per l’ex segretario nazionale, Pier Luigi Bersani, che si è dimesso per motivi politici. Dopo l’elezione di Debora si è quindi creata la necessità di individuare un nuovo segretario che guidasse il Pd del Fvg fino al congresso. L’assemblea ha deciso di affidare a me questo compito, che io ho accettato, ferma restando la mia volontà, più volte ribadita, di non ricandidarmi. Con il congresso d’autunno si individuerà il nuovo segretario, che auspico sia unitario.

Adesso, dopo la vittoria elettorale, si è aperta la fase di gestione del programma. Le nostre priorità sono tre: il lavoro e il rilancio dell’economia, il riordino dell’amministrazione regionale e degli enti locali, la riforma della sanità e dell’assistenza. Il programma è ambizioso, e realizzarlo non sarà facile, sia per la scarsità di risorse a disposizione sia perché le riforme che vogliamo attuare richiedono un’ampia discussione e un forte consenso: sono cambiamenti necessari, ma difficili, in alcuni casi radicali, che rischiano di creare spaccature profonde tra amministratori e cittadini, far proliferare comitati contrari e lasciare ampio margine di manovra ai populismi, cui l’Italia è facilmente permeabile. Non possiamo correre questo rischio. Le riforme sono ineludibili: se non riusciremo a realizzarle rischiamo di far fallire la nostra regione.

Per questo serve un grande sforzo comune. Tra Amministrazione e territorio deve instaurarsi un rapporto nuovo, che coinvolga tutti gli attori della società. Nessuno può essere escluso: mondo economico, sindacale, religioso, culturale. E’ fondamentale individuare priorità condivise: penso al rapporto con il Governo e a un nuovo protocollo d’intesa Stato-Regione Fvg che ridefinisca gli accordi precedenti, a partire dalla soppressione dei 370 milioni di euro annui che dovremmo versare fino al 2033; penso alle infrastrutture portuali, ferroviarie e stradali; penso a misure che ci consentano di reggere la concorrenza su alcune partite come l’energia e quella fiscale, che ci vengono poste dalla vicinanza con Austria e Slovenia. L’interesse generale deve prevalere sugli aspetti particolari. E ciò vale anche per chi è chiamato a governare questo territorio, la giunta regionale, che non deve mai perdere di vista le priorità rincorrendo le mille impellenze del quotidiano. Per far funzionare questa regione e concretizzare le riforme, l’esecutivo dovrà confrontarsi sempre di più con i territori, il gruppo consiliare, gli amministratori, i circoli.

Dobbiamo coinvolgere anche chi non sta dalla nostra parte, affinché non si ritragga dall’agire nell’interesse comune. Renzo Tondo è stato per anni al ricatto della Lega Nord, danneggiando pesantemente la regione: non possiamo più permettercelo. Per questo è fondamentale che Debora coltivi i rapporti con il Governo, dimostrando che gli interessi del Fvg sono anche quelli nazionali, il dialogo con Bruxelles e, più in generale, le relazioni internazionali, tanto trascurare dalla precedente giunta. In questo quadro, chiamiamo l’opposizione regionale a dare il proprio contributo, anche a livello romano: diversamente, se ne assumeranno la responsabilità. Su alcune questioni rimarremo sempre su posizioni opposte: è legittimo e sta nella logica delle cose.

E’ in quest’ottica di rapporti sempre più condivisi tra amministratori e territorio che abbiamo deciso di rilanciare i forum, determinanti nella definizione delle linee del programma, e oggi strumenti preziosi per la sua gestione. I forum saranno aperti a tutti coloro che vorranno dare il proprio contributo alla risoluzione dei problemi, alla realizzazione di quelle riforme, tanto necessarie quanto complesse, che ci attendono nei prossimi anni. Per questo motivo, prima del congresso promuoveremo iniziative pubbliche su tutto il territorio regionale, per presentare le linee di riforma ai cittadini, per farli incontrare e confrontare. Perché la nostra idea di riforma non è calata dall’alto, ma si crea insieme, con le proposte, su alcune delle quali promuoveremo forme di consultazione popolare.

Volgendo lo sguardo alla situazione nazionale, non possiamo negare che a Roma abbiamo un Governo che non volevamo. Il Governo del cambiamento di Bersani non è stato praticabile, per colpe altrui. Il fallimento di quel progetto si è scaricato tutto all’interno del Pd, con le profonde spaccature sull’elezione di Romano Prodi e le dimissioni del segretario nazionale. Ora si apre un’importante fase precongressuale. L’esperienza congressuale precedente è irripetibile, perché in quell’occasione il Pd si presentava frammentato, come un insieme di tanti partitini. Questo ha reso difficile, ovunque in Italia, la gestione del partito. Ora dobbiamo imparare a riconoscere la ricchezza del Pd e delle diverse aree che lo compongono, senza che queste diventino organizzazione.

Io credo che la strada migliore sia quella del congresso in due tempi: prima si devono indire i congressi locali, provinciali e regionali, poi le primarie per il segretario nazionale. Perché in questo modo la discussione sui temi locali e regionali può essere più ampia e articolata, e la scelta può concentrarsi su dirigenti che siano veramente espressione del territorio. Questo sicuramente ci aiuterebbe nella ricerca di un candidato unitario a livello regionale. Purtroppo registro che si discute più di nomi nazionali che di proposte e progetti. Noi dobbiamo essere invece un partito che attrae la maggioranza degli italiani per ciò che dice, per le idee, e non perché combatte contro qualcuno, come accaduto negli ultimi vent’anni. Il Paese ha bisogno di progetti a cui credere per ritornare ad avere fiducia e speranza, e noi siamo di fatto l’unico partito esistente. La Lega si sta dissolvendo, così come l’Ucd e l’Idv. Mario Monti ha fallito il suo progetto e la destra è quasi scomparsa; anche la sinistra si presenta estremamente frammentata. Noi dobbiamo cogliere questa occasione e abbiamo il compito di sostenere, con realismo, questo Governo, ottenendo i massimi risultati possibili per il Fvg. E’ vero che l’Italia non ha alle spalle una tradizione di grande coalizione, ma è opportuno chiedersi se, per alcune riforme cruciali, che toccano la vita di tutti i cittadini, quella della grande coalizione non sia oggi la strada più opportuna. In Italia è difficile, ma non possiamo ignorare che nel Paese c’è un’alta componente di cittadini di centrodestra, che dobbiamo provare a conquistare, o con i quali dobbiamo quantomeno dialogare.

Il congresso parli al Paese e si apra, sappia suscitare interesse attorno alle nostre proposte. Sia un contenitore multiforme di contributi diversi. Perché la cultura politica del riformismo cattolico, socialista e liberale che ha dato vita al Pd oggi non è più sufficiente. Funzionava quando l’Italia era diversa e affrontava le crisi in modo diverso. Adesso l’Italia ha ceduto parte della propria sovranità all’Europa, non batte più moneta, non si indebita più. Tutto è cambiato e dobbiamo evolverci anche noi. E’ necessario arricchire la cultura del nostro partito. Dal nuovo Pd può nascere una rinnovata classe dirigente, senza contrapposizioni generazionali. Quelli come me devono mettere a disposizione la propria esperienza e stare in seconda fila, dove c’è posto e molto da fare. Alla nuova classe dirigente chiedo disponibilità all’ascolto, di imparare dalle esperienze fatte, di assumersi la responsabilità. Chiedo di osare.

Renzo Travanut

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