Quello ha detto oggi il presidente del Consiglio Mario Monti chiedendo la fiducia al Senato
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Quello ha detto oggi il presidente del Consiglio Mario Monti chiedendo la fiducia al Senato
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Il governo non raggiunge la maggioranza a Montecitorio. L’Aula della Camera ha approvato il disegno di legge di rendiconto generale dello Stato per il 2010 e i voti a favore sono stati 308, ben sotto la soglia di 316. I non votanti sono stati 321.
“Questo voto ha certificato su un atto dirimente per la governabilità del Paese, il governo non ha la maggioranza in quest’Aula” ha detto il leader del Pd Pierluigi Bersani. Dopo il voto sul rendiconto dello Stato, Piazza Affari continua la sua corsa. Il Ftse Mib avanza del 2,41%.
Il presidente del Consiglio, subito dopo il voto, si è messo a controllare il tabulato dei voti che gli è stato consegnato dalla sottosegretaria Laura Ravetto. Poi tutti i ministri si sono riuniti intorno al premier per controllare chi ha votato a favore e chi non ha votato per il Rendiconto finanziario dello Stato. Subito dopo il voto Berlusconi ha rivolto qualche parola al ministro dell’Interno Roberto Maroni poi è stata convocata presso la Sala del Governo
una riunione straordinaria a cui partecipano il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ed i ministri Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Roberto Maroni. “Decidiamo subito cosa fare” avrebbe detto il premier ai suoi.
Prima del voto l’affondo di Bossi: “Il premier lo faccia Alfano”.
Probabilmente nella foga dell’approvazione della manovra, in pochi si sono accorti che l’art. 13 sui costi della politica è stato completamente modificato e stravolto.
Se ricordate era previsto che il taglio alle indennità dei parlamentari fosse permanente, con una riduzione netta dello stipendio. Nella pratica, invece, grazie alle modifiche blindate e approvate con la fiducia a Palazzo Madama, la riduzione riguarderà solo l’arco temporale 2011-2013, e sarà del 10% sui redditi superiori ai 90mila euro e del 20% sopra i 150mila euro. Inoltre per quanto riguarda le indennità di carica il taglio è stato abbassato al 20% per le quote superiori a 90 mila euro annui e al 40% a partire da 150 mila euro.
La crisi non è colpa del governo, certo. Ma l’hanno aggravata e ora lasciano il Paese disarmato. Per tre anni ci hanno detto che stavamo meglio degli altri. Adesso invece scopriamo che, da Wall Street alla Fiom, tutto il mondo si fa una domanda facile facile. Come faremo a pagare un debito così alto con una crescita e una produttività tanto basse? La prova che c’è qualcosa di più profondo del nostro buco di bilancio viene dall’assalto alle banche. Sono sane, sono state prudenti con i derivati, non hanno avuto bisogno del salvagente eppure finiscono sotto attacco. Perché? Perché le imprese sono in difficoltà e le nostre banche sono legate alle imprese, soprattutto a quelle piccole. Le aziende hanno poco lavoro, nessuna liquidità e stanno andando largamente in sofferenza. Si sente in giro una vera paura sul futuro.
E non lo diciamo per un interesse di bottega ma per un’analisi obiettiva della situazione. Di fronte a una novità di questo tipo i mercati capirebbero che ci stiamo occupando di dare una svolta.
Pier Luigi Bersani intervistato da Repubblica: «O si va a votare subito o si trova lo spazio di una soluzione transitoria in netta discontinuità con il passato. Dopo questo lunedì, Berlusconi dovrebbe andare al Quirinale e rimettere il mandato nelle mani del presidente Napolitano».
Ed oggi pomeriggio alle 17,30 Berlusconi sarà alla Camera per il suo discorso sulla crisi finanziaria italiana. La seguiremo in diretta qui mentre i commenti saranno su Twitter con l’hashtag #berlusconicamera e sul profilo del Pd Cordenons su Facebook.
Ci vediamo lì…
Oggi pomeriggio dalle 17 il Presidente del Consiglio parlerà alle Camere. I mercati non si aspettano nulla da ciò che dirà Berlusconi, mentre il Pd si aspetta le dimissioni o un cambio di governo senza continuità con l’attuale esecutivo.
Il direttore del Corriere della Sera De Bortoli, nel suo editoriale di oggi, si schiera con l’unica linea ormai da seguire: le dimissioni o un serio cambio di rotta.
Come possono i mercati fare affidamento su provvedimenti subito smentiti da una parte della maggioranza che li ha votati? E perché mai devono aver fiducia in un esecutivo che concentra la propria azione sul processo lungo o sul trasloco di tre stanze ministeriali a Monza? Una maggioranza che non governa è un unicum costituzionale, ma oltre a fare male al Paese scava la fossa a se stessa.
Il minimo che ci si possa attendere oggi è l’indicazione di un percorso concreto. L’ascolto delle richieste delle parti sociali. L’assunzione di alcuni impegni precisi che non si potranno disattendere. E se ciò accadesse ancora, allora sarebbe opportuno che il premier ne traesse le doverose conclusioni dimettendosi. […]
I consigli e l’appoggio della Banca d’Italia sono indispensabili. Privatizzare e liberalizzare con decisione, ridurre drasticamente il costo della burocrazia e della politica. L’adozione di misure eccezionali, anche se dovesse comportare sacrifici per imprese e famiglie, sarebbe accettata a fronte di una ripresa degli investimenti e di prospettive meno incerte sul versante della crescita. Interventi più incisivi sul mercato del lavoro e sul sistema previdenziale potrebbero avere come contropartita maggiori opportunità di occupazione per i giovani, sostegni agli investimenti, certezze per le imprese. Una volta tanto si chiede al premier di pensare solo al Paese.
L’aula di Palazzo Madama ha votato sì alla fiducia sul disegno di legge del cosiddetto processo lungo.
I 160 voti favorevoli sono arrivati da Pdl, Lega e Coesione Nazionale. I 139 contrari invece da Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli.
Il provvedimento, che ora passa alla Camera per l’approvazione definitiva, prevede tra l’altro una stretta sui benefici di pena per i condannati all’ergastolo per reati di strage e per sequestro di persona, qualora vi sia stata la morte del sequestrato. Ma al centro della polemica politica c’è la norma che introduce la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni e di non considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento.
Critiche dall’opposizione, dal Pd in particolar modo, per l’assenza del premier Berlusconi dall’aula del Senato. Forte la reazione dei senatori dell’Idv i quali hanno esposto nell’aula di Palazzo Madama dei cartelli con la scritta “Ladri di Giustizia”.
Domani dalle 9 nell’aula del Senato ci saranno le prime dichiarazioni di voto, e dalle 10 comincerà il voto di fiducia per il ddl “Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo”, più semplicemente definito “processo lungo” o “legge allunga processi”.
Perché il provvedimento viene chiamato “processo lungo”? Spiegarlo è un attimo.
Il primo firmatario al disegno di legge 2567 è la senatrice Carolina Lussana della Lega Nord. Inizialmente prevedeva il divieto di ricorrere al giudizio abbreviato – cioè alla possibilità di avere uno sconto di pena sveltendo il processo – per i reati punibili con l’ergastolo, durante l’esame della legge, però, sono successe due cose che rendono ad personam il suddetto decreto.
La prima è successa in commissione Giustizia del Senato quando il senatore Franco Mugnai, del PdL, ha inserito nel testo altre due norme: la prima fornisce alla difesa la possibilità di sentire un numero infinito di testimoni fino allo stop imposto dal giudice. La seconda stabilisce invece che non si possano utilizzare come prove fatti accertati con sentenze definitive in altri procedimenti.
L’altro fatto che rende il ddl a favore del premier è successo quando il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto che per definizione è parlamentare.
Naturalmente l’opposizione, con il Pd in testa, protesta facendo ostruzionismo già da ieri quando sono stati inseriti le due norme di Mugnai. Oggi il senatore Zanda, del PD, in aula mentre si dibattevano i tempi per il voto, ha definito la legge “schifosa”. Se pensiamo poi che anche Francesco Rutelli dell’Api, solitamente più pacato, dice che la legge “rappresenta perfettamente la fine di questo regime”, siamo al parossismo delle leggi a favore del presidente del Consiglio.
Sulla questione della fiducia la Presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro ci è andata giù molto dura: “Se il governo si assume la grave responsabilità di mettere la fiducia su un provvedimento di natura parlamentare come quello sul processo lungo, è necessario che il neo-ministro della Giustizia Nitto Palma venga subito in Senato a spiegare il perché. Una decisione del genere, assolutamente ingiustificata non si spiega se non con la necessità di salvare il Presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del Presidente del Consiglio, Berlusconi. In una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo, ci troviamo invece di fronte a un governo e una maggioranza di irresponsabili che, per gli interessi di un premier disperato, ancora una volta umiliano il Parlamento, la Giustizia, il nostro Paese“.
Insomma, per l’ennesima volta il governo se ne frega dei problemi del paese per pensare solo a quelli del suo leader.
Ci vediamo di là, o sul sito del Senato se qualcosa va storto.
Da Montecitorio via libera alla richiesta di arresto con 319 voti a favore e 293 contrari nei confronti del deputato del Pdl Alfonso Papa. Il Senato invece boccia l’autorizzazione di arresti domiciliari per il senatore del Pd passato al Gruppo misto Alberto Tedesco con 151 voti contrari e 127 a favore. Nei due rami del Parlamento il voto è stato a scrutinio segreto.
La Lega voterà contro il decreto legge sui rifiuti in Campania. Lo ha detto in aula alla Camera il leghista Renato Togni durante il dibattito sugli emendamenti al provvedimento. In precedenza l’opposizione aveva battuto la maggioranza per sei voti in merito alla richiesta di rinvio in commissione avanzata dal relatore del decreto Agostino Ghiglia, del Pdl, dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato che ha riaperto la strada al trasferimento dei rifiuti in altre Regioni. Contro il rinvio si sono espressi il Pd, l’Udc, l’Idv e Fli, a favore Pdl e Lega.
Attualmente è in corso a Montecitorio una riunione tra i capigruppo di Pdl e Lega, presente anche il sottosegretario Bonaiuti, mentre in aula il Pdl prende tempo intervenendo a raffica per rinviare la prima votazione, che è su un emendamento presentato dal deputato pidiellino campano Paolo Russo che sopprime il comma 1 dell’articolo 1 del decreto che stabilisce il trasferimento dei rifiuti campani in altre regioni ma solo dietro nulla osta delle regioni interessate. Un emendamento che raccoglierebbe i consensi non solo dell’opposizione ma anche di parte del Pdl e di parte dei Responsabili mettendo a rischio la tenuta della maggioranza in aula.
I fondi destinati alla riduzione del digital divide nelle regioni e nel territorio nazionale sono stati finora calcolati nell’ordine di 1,2-1,3 miliardi di euro. Quei soldi lì sono stati annunciati e ritirati tante di quelle volte che ormai ci si scrive dei libri, tant’è che se andiamo a controllare i contributi che dovrebbe rilasciare il FAS non ne troviamo assolutamente nessuna traccia.
Ieri il ministro Romani ha dichiarato che bastano 100 milioni di euro per portare a zero il divario digitale italiano.
“Con Tremonti abbiamo deciso di stanziare un finanziamento di 100 milioni di fondi fas per la banda larga per ridurre a zero il digital divide entro la metà del prossimo anno”