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Bersani contro Libero e Il Giornale: “Contro di noi macchina del fango: da oggi querele e richieste di danni”

Il Segretario del Pd conferma: “Il governo deve andare a casa perché si apra una nuova fase”. Tutto il PD con Bersani

Bersani in conferenza stampa

Un conto è il rispetto che si deve alla magistratura. Un conto è la giusta disponibilità a riflettere sulle critiche. Tutt’altro altro conto sono le calunnie organizzate per colpire e frenare il PD. Soprattutto se, come hanno fatto oggi Libero e Il Giornale, si accusa il Partito di essere un’organizzazione di ladri o che chiede il pizzo agli eletti come compenso per la candidatura. Queste sono appunto calunnie che coinvolgono tutto il partito, tutti i militanti.

Per questo oggi il Segretario Pier Luigi Bersani, nel corso di una conferenza stampa organizzata alla Camera, ha reagito duramente, difendendo il buon nome del Pd e annunciando che si sta studiando anche un’azione di massa per la salvaguardia della dignità del partito. “Le macchine del fango in azione, se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Abbiamo capito cosa sta accadendo. Il Pd è totalmente estraneo a tutte le vicende di cui si parla – ha dichiarato Bersani – le critiche le accettiamo, ma aggressioni, calunnie e fango no. Da oggi cominciano a partire delle querele e delle richieste di risarcimento danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare queste richieste di risarcimento come ‘class action’ da parte di tutti gli iscritti al Pd – ha aggiunto – perché essendo il partito una proprietà indivisa, una società, gli insulti riguardano ciascun componente“.

Il Segretario democratico ha voluto anche ribadire che “queste vicende non faranno chiudere la bocca al PD su quanto sta accadendo da altre parti. Noi ci stiamo muovendo su quattro principi – ha chiarito ai giornalisti – che sono: rispetto assoluto della magistratura; cittadini uguali davanti alla legge; chi è investito da inchieste fa un passo indietro al netto della presunzione di innocenza e regole più stringenti per la trasparenza e il controllo nei partiti. Piuttosto vorrei capire perché queste cose vengono chieste solo a noi e non ad altri – ha domandato ironicamente il Segretario PD -. A guardare i giornali c’è da rimanere allibiti. Se questi principi sono giusti, perché non si chiedono anche a tutti gli altri partiti che invece si comportano all’opposto?”.

Bersani ha parlato nel corso della conferenza stampa anche di altri temi di attualità politica. Il segretario del Pd ha insistito sulla necessità di andare oltre il governo Berlusconi per aprire una nuova fase e dare al Paese la possibilità di affrontare la grave crisi economia e finanziaria del Paese. Ed ha invocato un gesto di responsabilità dal centrodestra, dalla Lega in particolare, per formalizzare la crisi di governo. “Non è più tempo di guerre guerreggiate tra maggioranza e opposizione, è tempo di decidere, chi è nella destra, la Lega o altri, crei le condizioni per fare un passo e andare al Quirinale. C’è bisogno di aria fresca, per il Paese e per chi ci guarda da fuori. Con le bufere che arrivano, l’idea che tenerci nella palude abbia qualche senso per mettere al riparo il Paese è assurda – ha avvertito. La strada maestra è andare rapidamente a votare o trovare soluzioni che rompano la continuità e diano il segno che si apre una fase nuova, solo questo ci metterebbe in positivo rispetto ai mercati“. Continua a leggere

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L’assicurazione di Wikileaks

WikiLeaks è al centro di un uragano di dimensioni ciclopiche. Per scongiurare eventuali oscuramenti in territorio statunitense, l’organizzazione di Julian Assange ha messo online un file criptato di 1.4Gbche farebbe pensare a nuove e più roventi informazioni sull’operato dell’esercito americano in Afghanistan e Pakistan.

Il file in questione è chiamato “Insurance“, e come si evince dal nome stesso, potrebbe supporre ad una specie di assicurazione nel caso in cui gli oltre 90mila rapporti pubblicati dal wiki, dal Guardian e dal NYTimes, avessero fatto breccia nell’intelligence americana e malauguratamente si proponessero di bloccare la visione del sito negli Stati Uniti.

Secondo alcune fonti, questo nuovo mega file – grande quasi dieci volte il “War diary” – potrebbe contenere oltre 500mila rapporti e qualche video girato in territorio di guerra. Secondo altre fonti invece, il file conterrebbe sì rapporti e video di guerra, ma probabilmente sarebbero i dettagli delle operazioni militari portati fuori dal Pentagono da Bradley Manning, l’esperto informatico detenuto in una base militare in Virginia perché ritenuto il principale collaboratore di Assange assieme a due studenti del MIT e della Boston University. Altre informazioni dicono che il video dentro al file “Insurance” sia il girato dell’attacco delle truppe statunitensi a Garani, in Afghanistan, che portò alla morte di circa 100 civili.

Comunque vada a finire, Julian Assange ha dato l’ennesima prova che i segreti di stato non possono essere tenuti nascosti, ragion per cui si è assicurato la fuoriuscita delle informazioni oltre i confini digitali, rendendo nota la password del file ancora sconosciuto in caso di spegnimento del portale negli States.

(Giacomo Lagona per AgoraVox Italia)

 

La guerra in Pakistan alla luce del sole

Oggi Wikileaks – sito web specializzato nella pubblicazione di documenti militari e di intelligence coperti da segreto – pubblica 92mila rapporti assolutamente top secret del governo americano su migliaia e migliaia di missioni degli 007 statunitensi che parlano della guerra in Pakistan e Afghanistan. Wikileaks però non divulga da solo questi memorandum compromettenti, li offre in esclusiva ai tre più importanti giornali attualmente esistenti: l’americano NewYork Times, l’inglese Guardian e al settimanale tedesco Der Spiegel.

Nella maggior parte dei resoconti si scopre che Islamabad fa il doppiogioco prendendo soldi, aiuti umanitari e militari dagli alleati occidentali, e li passi, quasi alla luce del sole, ai talebani a cui ufficialmente fa la guerra. Che siano qualcosa di sconvolgente, i rapporti dell’intelligence americana, è comprovata dall’elevatissimo numero di vittime civili indicate nei dossier datati tra il 2004 e il 2009. Si parla di «militari e funzionari dell’intelligence che descrivono operazioni letali che hanno coinvolto gli Usa»; la parte riguardante i cosiddetti «danni collaterali», come li definì l’ex capo del Pentagono Rumsfeld, elenca 144 episodi in cui sono rimasti uccisi almeno 195 civili e 174 i feriti estranei al conflitto, di raid aerei contro covi talebani che nella realtà non lo erano, uccisioni di automobilisti inermi scambiati per kamikaze come ad esempio l’autobus pieno di bambini colpito dai francesi nel 2008 con otto feriti, o quell’altro colpito in pieno dai mitra americani che ferirono 15 passeggeri. E ancora: nel 2007 i militari polacchi, apparentemente per vendetta, bombardarono una festa di matrimonio uccidendo anche una donna incinta.

Obama, e la sua politica militare, sono nell’occhio del ciclone. Ma dalla Casa Bianca arriva la smentita che i piani strategici del presidente non coincidono con le date dei dossier, ma nel frattempo condanna seccamente la fuga di notizie definendole da irresponsabili per l’enorme pericolo a cui inevitabilmente si troveranno i militari Nato in quella zona. Ma Wikileaks denuncia le fonti ufficiali perché descrivono il Pakistan come un alleato sincero, mentre dai rapporti si legge che contrattaccano al doppiogioco dei servizi segreti pakistani. Insomma, buon viso a cattivo gioco.

Le pagine dimostrano come le reali capacità belliche pakistane vengano offuscate da notizie assolutamente false date in pasto ai media per non preoccupare il popolo americano. Come ad esempio l’accertata acquisizione di missili terra-aria da parte dei talebani; come l’alleanza occidentale stia usando sempre più frequentemente i droni Reaper per cacciare e uccidere i bersagli talebani controllandoli da una base nel Nevada, ma spesso diventano ingovernabili scontrandosi addirittura tra loro con un dispendioso uso di mezzi e uomini per il recupero; oppure di come i talebani abbiano causato tantissime stragi tra civili attraverso una serie di attentati esplosivi per le strade uccidendo 2000 persone fino a oggi. I talebani hanno usato missili a ricerca di calore contro gli aerei alleati, un fatto non rivelato pubblicamente dai militari, perché questi missili, di fabbricazione occidentale, sono quelli che i mujaheddin afghani usavano durante l’occupazione sovietica negli anni ottanta. Le segrete Task Force 373 – operativi speciali dell’esercito e della marina – che servivano a stanare i comandanti ribelli sotto la speciale lista di vivi o morti, a differenza delle numerose vittorie sbandierate dalle fonti ufficiali, hanno per lo più fallito e aumentato il risentimento degli afghani nei confronti degli alleati.

E proprio nel giorno in cui Wikileaks denunciava l’alto numero di civili vittime di «fuoco amico», le autorità afghane rendevano nota l’ennesima strage Nato di innocenti. Cinquantadue persone sono rimaste vittima di un tragico errore da parte dei militari alleati nella provincia meridionale di Helmand. Il fatto risale a pochi giorni fa. Nel distretto di Sangin un reparto misto afghano ed internazionale si è scontrato duramente con i talebani. I media afghani hanno raccolto testimonianze di persone rimaste intrappolate nel fuoco incrociato, ricoverate con ferite in ospedale. È emerso che un razzo è stato lanciato su una casa nel villaggio di Rigi, uccidendo decine di individui inermi che vi si erano rifugiati. Naturalmente subito si è levata la protesta del presidente Karzai contro questo ennesimo errore, ma subito è arrivata la controreplica dell’Ammiraglio Greg Smith, direttore delle Comunicazioni dell’Isaf: «Qualsiasi congettura sull’esistenza di vittime civili è assolutamente infondata. Stiamo svolgendo una esaustiva indagine congiunta con i nostri partner e riferiremo tutte le conclusioni quando saranno disponibili».

L’alto numero di morti civili aveva fatto capire all’ex capo delle forze Isaf in terra afghana, Stanley McChrystal da poco dimessosi su “consiglio” di Obama, di impartire nuovi e più caute istruzioni come la riduzione dei raid aerei notturni e l’eliminazione quasi totale dei blitz nei villaggi afghani per cercare i ribelli.

Come se la denuncia di Wikileaks fosse un ulteriore prova della bontà afghana, il presidente Karzai ha sottolineato la tradizionale posizione nazionale in base alla quale «il successo contro il terrorismo non si ottiene lottando nei villaggi afghani, ma colpendo i santuari e le fonti ideologiche e finanziarie che si trovano oltre frontiera». Ovvero in Pakistan, tanto per non smentirsi. Dopo la “Top Secret America“, la stagione degli scandali obamiani pare non finire mai.

(Giacomo Lagona per Agoravox Italia)

Maggioranza battuta, l’opposizione non va in vacanza

Cari amici,

stavolta vi scriviamo per informarvi di una battaglia che il Pd sta portando avanti in Parlamento contro il governo delle favole, che ci racconta un paese che non esiste. Berlusconi è ostaggio della Lega: scippa al Mezzogiorno i fondi FAS usati come un bancomat per qualsiasi spesa mentre le famiglie del Sud sono costrette ad arrangiarsi, senza più soldi per mangiare o per curarsi. Lo ha detto ieri lo Svimez ed è un dato impressionante. Nel paese reale il Sud sta tornando sinonimo di povertà e con la manovra impongono tagli pesantissimi ai bilanci regionali, che si tradurranno in più tasse e meno servizi.

Sono temi di cui si è occupato anche il nostro segretario, Pier Luigi Bersani, ospite ieri di SkyTg24 Economia su Skytg24.

Dopotutto era veramente questo il Paese che volevano gli italiani? Crediamo di no, eppure il governo mette in cima alla lista delle sue preoccupazioni il ddl intercettazioni. Un provvedimento sciagurato che dopo la nostra pressione sta per cambiare. Ma non basta. Per noi democratici il testo va riscritto completamente. Vi terremo informati sulla nostra battaglia in Parlamento.

PS: Sempre ieri la maggioranza è stata battuta tre volte in aula sulle missioni in Afghanistan grazie alla pressione del Pd. Senza voti di fiducia non reggono più, e la prossima settimana ci sono tre decreti legge prima delle intercettazioni. L’opposizione non va in vacanza, voi potete aiutarci raccontando come stanno veramente le cose ai vostri amici, ai vostri familiari e colleghi di lavoro.

Alla prossima!

Obama e l’affare McChrystal

E dunque Obama, facendo la voce grossa, ha cacciato il generale Stanley McChrystal dal suo incarico di capo delle forze armate statunitensi in Afghanistan per averlo “sputtanato” martedì scorso sul Rolling Stone.
Aldilà dei riscontri puramente accademici e per certi versi strumentali, la linea seguita dal presidente americano è stata più che lecita. Nessun esponente dello Stato Maggiore, pur di alto rango come il generale McChrystal, può giudicare pubblicamente gli errori e i compromessi di un’amministrazione impegnata nella più importante campagna militare estera come è quella in Afghanistan. Non lo può fare non solo perché non si fa, ma perché mette a repentaglio le vite di migliaia di militari e la strategia americana nelle lande afghane. Facendo questa logica premessa, esaminiamo i fatti che hanno portato al licenziamento – o alle dimissioni, come il politically correct esige – del capo dell’esercito americano in Afghanistan.

Già dal suo insediamento ai massimi vertici militari in Afghanistan nel giugno dello scorso anno, il generale McChrystal si è subito contraddistinto per il suo comportamento apertamente ostile all’amministrazione Obama. L’indomani al suo insediamento, il segretario della difesa Bob Gates aveva chiesto a McChrystal un rapporto sullo stato della missione e sulle sue prospettive future in vista di una fuoriuscita dal paese asiatico in tempi brevi. Quel rapporto, però, finisce – secondo molti, grazie allo stesso McChrystal – nelle mani dei giornalisti, i quali sentenziano, di fatto, la fine della missione così come la vedeva il presidente Obama.
Nel rapporto McChrystal chiedeva l’invio di circa 40mila uomini in più, ovvero il triplo di quelli finora impegnati nella campagna afghana, mettendo alle strette Obama il quale aveva improntato la sua campagna elettorale nella promessa di far tornare a casa i soldati il prima possibile.

Questo comporta uno scenario sottilissimo fatto di intrecci politici, promesse da mantenere, e ultima, ma la più importante, dare un impressione di forza all’opinione pubblica senza scontentare nessuno delle due aspettative: ritirarsi o inviare altri soldati? Obama sceglie una terza via: tre mesi di intensi incontri e riunioni con i massimi esperti mondiali di geopolitica e con i vertici militari americani e afghani.
Il risultato è duplice: da un lato si cerca di considerare cosa sia effettivamente “una vittoria”, dall’altro chiarire chi sia più importante da combattere, e vincere, tra Al Qaeda e i Taliban.

Su quest’ultimo punto è bene far luce sulle differenze che ci sono tra i due gruppi: Al Qaeda è un’organizzazione terroristica che opera, tramite una miriade di cellule, in tutto il mondo e quindi non circoscritta al solo Afghanistan; i talebani invece sono una comunità islamica estremista che compiono atti terroristici tra Afghanistan e Pakistan in quanto avevano il controllo del paese fino a poco meno di un decennio fa. I vertici della Casa Bianca sono sostanzialmente divisi in due: il vice presidente Joe Biden, il consigliere per la sicurezza nazionale Jim Jones, l’inviato dell’amministrazione Richard Holbrooke e l’ambasciatore americano in Afghanistan Karl Eikenberry chiedono di concentrarsi solo su Al Qaeda senza aumentare il numero di militari in Afghanistan; il ministro della difesa Bob Gates, il segretario di stato Hillary Clinton, il capo di stato maggiore ammiraglio Mike Mullen, il capo delle forze armate statunitensi in Medioriente generale David Petraeus, e il generale McChrystal, ovviamente, chiedono di aumentare il contingente afghano e battere la resistenza talebana/Al Qaeda sul territorio. Nel frattempo, però, il generale McChrystal ne combina un’altra delle sue: durante un discorso a Londra, afferma che la visione del vice presidente Biden sull’Afghanistan “è miope” perché porterebbe il paese nel caos.

L’amministrazione Obama decide che è più importante sconfiggere la guerriglia afghana. A novembre il presidente americano annuncia l’invio di 30mila soldati in Asia centrale sotto gli ordini del generale McChrystal.

Quel giorno, per Obama, nasce ufficialmente il “problema McChrystal”.

Le operazioni vanno naturalmente a rilento, ma il presidente è preoccupato più per il grande potere che sta guadagnando il generale in Afghanistan che per la velocità delle operazioni belliche.
Nell’intervista al Rolling Stone si nota principalmente l’influenza che gode il militare non solo tra l’esercito americano, ma soprattutto negli ottimi rapporti diplomatici col presidente Karzai tanto che lo stesso presidente afghano si è sentito in dovere di affermare che sostituire il generale McChrystal “non aiuta a raggiungere la via della pace”.
Praticamente McChrystal è riuscito in poco meno di un anno ad accentrare su di sè i massimi vertici afghani e militari americani, e, naturalmente, alla diplomazia mestierante statunitense non va affatto giù.

C’è una frase che secondo quanto riferisce il New Yorker ha fatto infuriare Obama più degli insulti: “Ho avuto la controinsurrezione. Ho avuto tutto quello che chiedevo. Ma stiamo fottutamente perdendo”.

Adesso al posto del generale dimissionario è stata inviata la “dottrina Petraeus” per riportare l’Afghanistan verso lidi più consoni alla diplomazia americana. Staremo a vedere se il generale Petraeus riuscirà a portare a termine il compito affidatogli, oppure sarà un altro buco nell’acqua dove nemmeno la buona condotta riesce a star dietro alla fenomenologia misogina dei guerrieri tutti d’un pezzo.

(Giacomo Lagona)

ADDOLORATI PER L’ATTENTATO AI SOLDATI ITALIANI IN AFGHANISTAN

Il Circolo PD di Cordenons attraverso il suo esecutivo ha deciso di rinviare a data da destinarsi la manifestazione in difesa della libertà di informazione che era stata fissata per sabato 19 settembre.

La notizia dell’attentato subito dai militari italiani in Afghanistan con la perdita di sei vite umane, richiede che a loro sia dovuta la massima attenzione, il nostro riconoscimento per la loro dedizione, il cordoglio, la solidarietà e la vicinanza alle famiglie dei caduti.

E’ un altro giorno triste per il nostro Paese e per l’Afghanistan che vede ancora lontana la meta della pacificazione nazionale e la nascita di una vera democrazia. Per tutti la lezione rimane aperta: la libertà e la democrazia sono un bene difficile da costruire e da mantenere. Deve essere compito di tutti promuovere e difendere il valore imprescindibile della democrazia e della pace tra i popoli ed entri i confini di ciascuna nazione.

Gianni Ghiani segretario circolo Cordenons