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Il paese degli arroganti

Ieri Berlusconi, Bossi, Trota, Cota e qualche altro vassallo padano sono andati a trovare l’altro padano, il governatore veneto Luca Zaia, nei luoghi delle alluvioni di queste settimane. Momenti di tensione prima a Vicenza e poi a Padova tra un gruppo di manifestanti e le forze dell’ordine in occasione dell’annunciato arrivo del presidente del consiglio Silvio Berlusconi e del ministro Umberto Bossi in Prefettura per fare il punto sulle zone alluvionate. Il corteo dei manifestanti, formato da studenti, ricercatori ed esponenti dei centro sociali, che ha urlato anche “Bunga bunga non lo balliamo“, è stato tenuto lontano dal palazzo della Prefettura. Berlusconi e Bossi sono giunti a Padova verso le 13.20. All’arrivo a Padova del premier dal corteo di protesta sono partiti pesanti slogan e insulti all’indirizzo soprattutto del presidente del Consiglio. «Mafioso, mafioso» e «Dimissioni, dimissioni» sono stati alcuni degli slogan urlati dai manifestanti.

Fin qui la cronaca, alcuni giornali stamane avevano una photo-gallery dove si notava tutta l’arroganza leghista. A essere cinici si potrebbe pensare che i difetti di una certa politica siano tutti qui. C’è l’arroganza del capo che, in barba alla legge, fuma tranquillamente il suo sigaro al chiuso, in un locale pubblico e durante un incontro istituzionale. C’è Cota, il braccio destro del capo che, invece di ricordare a quest’ultimo che sarebbe bene spegnere il sigaro, gli regge il portacenere. E c’è il figlio del capo che non ha avuto bisogno di meriti particolari, a parte essere il figlio del capo, per raggiungere e frequentare assiduamente le stanze del potere.

Impunità, arroganza, servilismo, nepotismo. A essere cinici o, secondo i punti di vista, moralisti, si potrebbe dire che sono tutti in questa foto i vizi capitali della politica in Italia. O forse, a esserlo davvero, si potrebbe notare che quei vizi hanno raggiunto la Padania e la sua classe dirigente, che era nata proprio per abbatterli. Ma la Lega è ormai di casa a Roma ladrona.

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Affondata la Protezione civile SpA

di Giacomo Lagona


La crisi legata alle inchieste fiorentine sulla corruzione degli appalti pubblici per la ricostruzione dell’Aquila post-terremoto e del G8 alla Maddalena – entrambi inerenti alla cattiva gestione del sottosegretario Bertolaso – hanno bloccato l’iter parlamentare sulla privatizzazione della Protezione civile. Stranamente, all’indomani delle pubblicazioni sui giornali delle intercettazioni telefoniche tra il capo della Protezione civile e imprenditori che facevano a gara per accaparrarsi gli appalti a L’Aquila a alla Maddalena, il Governo ha pensato bene di stralciare l’art. 16 del decreto che sanciva la privatizzazione della Protezione civile rendendola una SpA.

Questo stralcio è l’evidente stato confusionale in seno alla maggioranza dove la corrente di pensiero tende a cambiare dall’oggi al domani: “Abbiamo una bella Protezione civile con migliaia di persone. Non deve diventare una Spa, non deve sparire” – dice Bossi. «La Protezione civile resterà un dipartimento della Presidenza del Consiglio con la sua struttura: anch’io mi arrabbierei se qualcuno pensasse di “trasformare” la Protezione civile in una società privata. Ma non è così» ribadisce il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Chi voleva quanto prima  privatizzare la Protezione civile, oggi si dice contrario perché non ce ne bisogno. Se non è confusione questa…

Il Partito Democratico si è sempre opposto alla privatizzazione. «Evidentemente c’è una parte della maggioranza che ha capito, grazie alla nostra battaglia di opposizione, che quelle norme sono sbagliate e pericolose» – dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato – «Abbiamo condotto in Senato, nel corso della prima lettura e ben prima che emergessero i primi risultati delle inchieste una strenua battaglia denunciando punto per punto le tante norme sbagliate contenute nel decreto e l’opacità e la poca trasparenza del sistema di gestione della cosa pubblica da esso disegnato. Per questo abbiamo chiesto di ritirare il provvedimento. Lo stralcio dell’articolo 16 è già come ho detto un buon passo avanti. I parlamentari del Pd alla Camera continueranno la nostra battaglia contro un decreto che continua ad avere molte cose che non vanno, a cominciare dal fatto che i grandi eventi non devono più essere trattati come emergenze».

Sullo stesso avviso il capogruppo Pd alla Camera, Dario Franceschini: “E’ una vittoria dell’opposizione – dichiara – e un passo indietro del governo”. Quanto all’ipotesi che il governo ponga la fiducia, Franceschini non anticipa i tempi: “aspettiamo le dichiarazioni ufficiali. Intanto vediamo cosa scrivono nel maxiemendamento“.

Così si esprime il vicepresidente vicario dei deputati del Partito Democratico, Michele Ventura: “Leggiamo che del decreto resterà soltanto un guscio burocratico capace di coprire la marcia indietro del governo, ma noi non ci fidiamo e la nostra battaglia parlamentare sarà durissima. Il Partito Democratico chiede il ritiro del Dl, chiede che il malaffare che sembra emergere dalle indagini in corso non venga seppellito da norme che garantiscono impunità. Rendere lo Stato efficiente non è un’anomalia, ma essere al di sopra delle leggi per farlo è la negazione dello Stato”.

Anche il presidente dei nostri senatori chiede il ritiro del provvedimento: “E’ evidente, e le parole di Bossi lo confermano, che buona parte della maggioranza non vuole il decreto che istituisce la Protezione civile Spa. Credo che l’unica cosa saggia da fare sia quella di ritirare il decreto. E’ un provvedimento sbagliato e pericoloso.Un’altra cosa da fare subito – prosegue Anna Finocchiaro – è, come abbiamo chiesto presentando al Senato un disegno di legge, abrogare la norma che equipara i grandi eventi alle emergenze. Emerge infatti con chiarezza dalle inchieste un sistema opaco e poco trasparente nella gestione di questi avvenimenti da parte della Protezione civile. Il sistema usato per i grandi eventi è fuori controllo grazie a un uso smodato delle ordinanze. C’è in questo sistema una logica della gestione della cosa pubblica (e le parole di questa settimana a Repubblica di Guido Bertolaso in qualche modo lo confermano) che rifiuta regole e trasparenza. Proprio per non distruggere il patrimonio della protezione civile – conclude Anna Finocchiaro – serve chiarezza e la fine di ogni ambiguità“.