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Incompatibilità democrat

Quando nell’estate 2007 ho percorso circa 25 mila chilometri in un pulmino scassato insieme a un gruppo di ragazzi under 30 abbiamo fatto centinaia di incontri e parlato con migliaia di persone per raccontare e propagandare il Pd in cui credevamo e in cui ancora credo. Era il progetto del Lingotto con tutto quello che rappresentava in termini di speranza per il rinnovamento dell’Italia e della politica.
Un progetto per l’Italia ma anche una riforma reale della politica e dei partiti a cominciare dal nostro. Esaltavamo: la democraticità all’interno dei partiti; l’esigenza di renderli molto più permeabili alle tante persone che credono nella partecipazione e nella condivisione dell’azione politica; un nuovo sistema di selezione della propria classe dirigente anche attraverso un allargamento e rinnovamento degli incarichi che consentisse di fare un netto salto di qualità rispetto ad una malattia della politica e dei partiti, sempre più diffusa, di accentrare quasi tutte le responsabilità in un gruppo ristretto di persone attraverso quel perverso meccanismo che è il cumulo delle cariche.
Evitare che le medesime persone abbiano più ruoli e responsabilità da gestire è, a mio avviso, il principale strumento per far sì che i partiti possano rinnovarsi, possano aprirsi, possano crescere utilizzando le tante energie che, nonostante noi, ancora sono disponibili nella società. È anche un modo concreto di trasmettere l’idea a chi ci guarda, magari un po’ disamorato, che la politica è includente, che è davvero al servizio di tutti e nella possibilità di ciascuno a patto che voglia mettersi in gioco.

Questa parte innovativa in cui molti di noi hanno creduto non si è mai realizzata, non ha mai preso corpo. La realtà è sotto gli occhi di tutti.
Quando diedi il mio voto per l’elezione di Franceschini a capogruppo alla camera del Pd lo feci con convinzione, anche perché Dario annunciò di voler proporre un’inversione di tendenza nell’attribuzione degli incarichi nel gruppo, sia quelli interni che quelli relativi alle commissioni parlamentari. Impegno mantenuto nel rinnovo del consiglio direttivo del Pd alla camera. Impegno che sarebbe dovuto proseguire al momento del rinnovo degli incarichi nelle responsabilità parlamentari (vicepresidenti, segretari, capigruppo delle commissioni). Affermare cioè una sorta di incompatibilità tra incarichi di partito e incarichi parlamentari. Siamo a ridosso del rinnovo degli incarichi parlamentari e anche questo segmento di cambiamento metodologico (ma quanto di sostanza) dovrebbe compiersi. Dico dovrebbe perché quello che per me era scontato – perché in termini formali ed anche sostanziali è la contraddizione più evidente – per un artificio di comodo rischia di non essere sfiorato dalla giusta decisione di separazione degli incarichi. Mi riferisco al doppio incarico di presidente del partito e di vicepresidente della camera. L’artificio che si vorrebbe usare è che mentre tutti gli altri sono incarichi che si rinnovano a metà legislatura, quello di vicepresidente della camera non è oggetto di rinnovo. L’argomento è talmente fragile e inconsistente che qualunque valutazione e considerazione appare a mio avviso inutile. Ovviamente non si tratta di un fatto personale. È una questione di sostanza. Che senso ha e che idea diamo di noi e della vita interna al partito se ci comportiamo come quelli che sono forti con i deboli e deboli con i forti? Con che serietà chiediamo a questo o quel deputato che svolge il ruolo di capogruppo in una commissione e ha un incarico nel partito di rinunciarvi quando facciamo finta di nulla sulla concentrazione dei due ruoli più importanti (tolto quello del segretario) nel partito e nelle istituzioni? Penso allora che se non si è in grado di risolvere le incompatibilità al livello più alto sarebbe assurdo e inaccettabile farlo al livello più basso. Allora evitiamo finzioni e lasciamo che tutto rimanga com’è. Coerenza e chiarezza in politica sono un valore immenso soprattutto quando chiediamo ai cittadini di darci fiducia. La strada che stiamo imboccando non mi pare proprio sia quella giusta.

Roberto Giachetti

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