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Ma i numeri non bastano

316 sì, 301 no: Berlusconi ha di nuovo avuto la fiducia della Camera. Risultato abbastanza prevedibile dopo le dichiarazioni esplicite di Scajola che aveva annunciato il voto favorevole suo e di altri. Nonostante ciò, il sostegno al Governo è diminuito rispetto alle ultime occasioni per l’assenza di alcuni colleghi del centrodestra che hanno disertato, rendendo così evidente il loro malessere, la domanda di discontinuità.

La tattica parlamentare adottata dalle opposizioni in questo passaggio ha messo in luce due elementi: in primo luogo la possibilità, non scontata, di unire tutte le forze che oggi considerano il Governo Berlusconi un danno e una zavorra per il Paese. In secondo luogo la drammatica pochezza degli argomenti del Premier e dei parlamentari che ancora lo sostengono….L’aula a metà ha reso ancora più grande il vuoto di contenuti riformatori di Berlusconi e ha manifestato plasticamente che nella politica come nella società progressisti e moderati possono “fare delle cose insieme”. Con molta cautela, con i soliti distinguo (tra cui quello per nulla comprensibile della delegazione radicale), questo passaggio ci ha detto che è possibile e necessario, per battere il berlusconismo culturalmente prima ancora che elettoralmente, uno schieramento di forze politiche e sociali ampio e che il Pd è oggettivamente il baricentro di una simile alleanza. Serve uno sforzo per tessere relazioni politiche e sociali su cui fondare il progetto per l’Italia di domani. L’euforia di Berlusconi e i suoi per la fiducia di oggi non durerà a lungo e soprattutto non dà nessuna risposta ai problemi reali della società italiana. Presto molto presto saremo chiamati – in un modo o in un altro – ad assumere la responsabilità di indicare noi la via d’uscita.

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Alfonso Papa verrà arrestato, Alberto Tedesco invece si è salvato

Da Montecitorio via libera alla richiesta di arresto con 319 voti a favore e 293 contrari nei confronti del deputato del Pdl Alfonso Papa. Il Senato invece boccia l’autorizzazione di arresti domiciliari per il senatore del Pd passato al Gruppo misto Alberto Tedesco con 151 voti contrari e 127 a favore. Nei due rami del Parlamento il voto è stato a scrutinio segreto.

Il governo battuto in aula sul decreto-legge per i rifiuti

RIFIUTI, GOVERNO BATTUTO IN AULA. LA LEGA ANNUNCIA VOTO CONTRARIO

La Lega voterà contro il decreto legge sui rifiuti in Campania. Lo ha detto in aula alla Camera il leghista Renato Togni durante il dibattito sugli emendamenti al provvedimento. In precedenza l’opposizione aveva battuto la maggioranza per sei voti in merito alla richiesta di rinvio in commissione avanzata dal relatore del decreto Agostino Ghiglia, del Pdl, dopo l’ordinanza del Consiglio di Stato che ha riaperto la strada al trasferimento dei rifiuti in altre Regioni. Contro il rinvio si sono espressi il Pd, l’Udc, l’Idv e Fli, a favore Pdl e Lega.

Attualmente è in corso a Montecitorio una riunione tra i capigruppo di Pdl e Lega, presente anche il sottosegretario Bonaiuti, mentre in aula il Pdl prende tempo intervenendo a raffica per rinviare la prima votazione, che è su un emendamento presentato dal deputato pidiellino campano Paolo Russo che sopprime il comma 1 dell’articolo 1 del decreto che stabilisce il trasferimento dei rifiuti campani in altre regioni ma solo dietro nulla osta delle regioni interessate. Un emendamento che raccoglierebbe i consensi non solo dell’opposizione ma anche di parte del Pdl e di parte dei Responsabili mettendo a rischio la tenuta della maggioranza in aula.

Lealtà e correttezza super partes

Con la nascita di Futuro e Libertà per l’Italia, il gruppo parlamentare nato dopo la scissione dei finiani dalla maggioranza del Pdl, si è venuto a creare un paradosso politico del tutto nuovo, o, almeno, non significativamente presente nella politica repubblicana italiana.

Alcuni esponenti del Pdl come Lupi e Bondi, hanno suggerito al Presidente della Camera Gianfranco Fini di comportarsi come Sandro Pertini 40 anni fa, e offrire le proprie dimissioni da quel ruolo di garante istituzionale che ricopre da due anni, ovvero dal giorno che Berlusconi formò il Governo e lo suggerì al Presidente Napolitano come Presidente della Camera.

Fini ha già fatto sapere che non si dimetterà perché la sua carica non dipende dal partito del Presidente del Consiglio, e, anche se il gruppo nato da poco è “incompatibile con i principi ispiratori del Popolo della Libertà“, il Presidente della Camera ritiene il suo ruolo perfettamente sincrono con il volere degli elettori e della stessa Costituzione a cui fa riferimento.

Contrari alle dimissioni di Gianfranco Fini sono naturalmente le opposizioni – col Partito Democratico in testa – perché, giustamente, la Presidenza della Camera è super partes rispetto agli stessi partiti di governo e opposizione.

In un’intervista di oggi a Repubblica, il Senatore Luciano Violante ha confermato le nostre dichiarazioni di massima:

«I ruoli super partes non possono decadere per una scelta della maggioranza parlamentare, non sono nelle mani di chi ha vinto le elezioni».

Alla domanda se crede sia giusto prendere esempio dal gesto che Pertini fece nel 1969 proponendo le sue dimissioni da Presidente della Camera, Violante risponde:

«Quelle dimissioni avevano alle spalle un processo di scomposizione consensuale dei socialisti. Qui invece la maggioranza di un partito ha messo alla porta la minoranza, questo è il succo.»

In molti si saranno chiesti cosa successe nel luglio di 41 anni fa, e cosa portò il futuro Presidente della Repubblica a presentare le proprie dimissioni dalla carica che oggi detiene Fini.

Successe semplicemente che l’allora Onorevole Pertini venne eletto Presidente della Camera con il sostegno del Partito Socialista Unificato (PSU), raccogliendo molti dei 364 voti che gli servirono a farsi eleggere dal suo gruppo politico di appartenenza: il PSU era il partito che raccoglieva, dal 1966, i partiti di aria socialista PSI e PSDI. Durante il 1969 però si vennero a creare degli eventi tali – gli scarsi risultati elettorali e le normali divisioni interne – che il 5 luglio riportarono i socialisti e i socialdemocratici verso strade autonome. Alcuni giorni dopo Pertini fece un discorso alla Camera che vi proponiamo nel segmento più importante:

«Onorevoli colleghi, la situazione di un anno fa, quando voi mi faceste l’onore di eleggermi vostro Presidente, è oggi mutata. Correttezza vuole ch’io metta a vostra disposizione il mandato da voi affidatomi».

La Camera apprezzo il gesto di lealtà e correttezza che fece Pertini, ma con la stessa lealtà e correttezza rifiutò le dimissioni e Pertini continuò ad essere il Presidente della Camera. Non solo: Giulio Andreotti ricordò ai presenti che la spaccatura all’interno dei socialisti non alterava «minimamente i rapporti tra la Camera e la persona del suo presidente».

Quindi la presunta correttezza dei deputati Bondi e Lupi, è stata correttamente messa alla porta dal senatore Violante sulle pagine di Repubblica.

(Giacomo Lagona)

Scacco al re

di Giacomo Lagona

Obama è salito a Capitol Hill e ha chiesto ai deputati democratici di «resistere» e affrontare quella che potrebbe rivelarsi una votazione difficile dal punto di vista politico: a novembre sono infatti previste le elezioni per il rinnovo del Congresso.

«So che siete sotto pressione. Questo è uno di quei momenti. È una di quelle volte in cui potete dire onestamente a voi stessi: “Maledizione, è proprio per questo che sono qui”. So che sarà un voto duro, ma sono fiducioso perchè sono convinto che sia la cosa giusta da fare. Se ognuno di voi crede che questa legge non sia un miglioramento dello status quo, in cui persone sono costrette a morire senza cure, o a vendere la propria casa perchè non hanno i soldi per pagare il medico. Se credete onestamente dal profondo del cuore che è così, allora votate no. Se invece credete che il sistema attuale non funziona, che le assicurazioni non fanno sempre gli interessi dei cittadini, allora vota questa riforma. Non ti chiedo di farlo per me, o per il partito democratico, ma per il popolo americano, per quelle persone che non ce la fanno e hanno bisogno d’aiuto».

Ci sono voluti nove mesi per far arrivare alla Camera la riforma sanitaria voluta da Obama, e oggi si voterà per approvarla o buttare nove lunghi mesi di lavoro nella pattumiera. Il discorso del Presidente ai democratici non è quello di un politico che vuole far approvare una sua legge, ma il commento di un uomo che crede profondamente in quello che dice. Non sarà un santo – nessun politico lo è, men che meno un presidente americano – ma è un uomo decisamente caparbio e che crede sinceramente in una buona sanità pubblica e non solo ad una sanità assicurativa riservata a ricchi e benestanti. Gli Stati Uniti sono al collasso economico e questa legge avrà una duplice valenza: dare agli indigenti un minimo di copertura sanitaria, e far risparmiare agli States qualcosa come 1000 miliardi di dollari nei prossimi vent’anni. Non è cosa da poco!

«Il presidente Roosevelt ha fatto passare la Social Security, Lyndon Johnson ha fatto approvare Medicare. Oggi Barack Obama farà approvare la riforma della sanità», ha detto John Larson presidente del gruppo democratico della Camera. I Democratici ci credono, e pare che i cinque voti di scarto che avevano fino a qualche giorno fa sono stati rimpolpati nel carniere presidenziale. Ma sono gli indecisi la carta vincente – o perdente – di Obama. La pressione fatta ai democratici riguarda la copertura sanitaria per l’interruzione di gravidanza offerta con fondi pubblici. In questo senso il Presidente Obama sta lavorando su un ipotesi di accordo esecutivo separato dall’approvazione della riforma, tanto che il deputato del Michigan Bart Stupak, dopo aver ricevuto il no dalla speaker della Camera Nancy Pelosi sull’ipotesi di un secondo voto a riguardo, si è detto soddisfatto e da voci interne sembra possibile un suo voto favorevole alla legge presidenziale.

La riforma sanitaria voluta da Obama è la più importante dal 1965, quando Lyndon Johnson fece approvare Medicare per anziani e disabili. Questa riforma porterà l’assistenza sanitaria al 95 per cento degli americani, ossia a quei 32 milioni di statunitensi non coperti dalle assicurazioni, ma soprattutto fermerà la pratica di rifiuto perpetrata dalle assicurazioni a danno di chi è già malato. Oggi sapremo se i 940 miliardi di dollari che servono per coprire un decennio di riforma verranno stanziati sotto forma di approvazione, oppure l’America, ancora una volta, sarà sotto scacco delle lobby di Washington.

«So che questa legge non è perfetta. Non ci sono delle parti che ognuno di voi avrebbe voluto che ci fossero. Questo vale anche per me. Però è il più grande intervento legislativo per migliorare la vita degli americani. Per questo sono convinto che passerà. In fondo è per questo che sono entrato in politica, che mi sono sacrificato. È che credo nel mio paese e credo – ha concluso Obama – nella nostra democrazia».

La Camera oggi voterà separatamente sulla versione della riforma approvata dal Senato – che, se passerà, diverrebbe legge una volta firmata da Obama – e su un secondo pacchetto di modifiche, sponsorizzato dai democratici alla Camera.

[Update] Leggo adesso lo schedule della Camera per oggi (aggiungete 5 ore per avere l’ora italiana):

2 p.m.: The House will debate for one hour the rules of debate for the reconciliation bill and the Senate bill.

3 p.m.: The House will vote to end debate and vote on the rules of the debate.

3:15 p.m.: The House will debate the reconciliation package for two hours.

5:15 p.m.: The House will vote on the reconciliation package.

5:30 p.m.: The House will debate for 15 minutes on a Republican substitute and then vote on the substitute.

6 p.m.: The House will vote on the final reconciliation package.

6:15 p.m.: If the reconciliation bill passes, the House will immediately vote on the Senate bill, without debate.

Berlusconi imbavaglia il Parlamento

di Gianni Ghiani

ATTENZIONE: PARLAMENTO BLOCCATO, MAGISTRATURA ATTACCATA, ESECUTIVO CHE TRACIMA.

Forse la notizia non ha avuto il risalto che meritava. Allora ci proviamo noi a porla in primo piano. Il fatto è questo: il presidente Gianfranco Fini ha deciso di lasciare a casa i deputati per una settimana dal 2 al 6 novembre. E sapete perché? Il motivo è semplice: per le leggi di iniziativa parlamentare che riescono ad approdare in aula non c’è la copertura finanziaria. Di conseguenza ai deputati non resta altro da fare che scaldare la sedia e ridursi a votare, impotenti, solo le richieste di fiducia che, una dopo l’altra, l’Esecutivo impone a tutti i parlamentari.
Secondo il presidente della Camera la mancanza di fondi “è un problema oggettivo”. Fini, così, ha lanciato un chiaro e diretto segnale a Berlusconi. L’ostruzionismo orchestrato da parte del “monarca assoluto” è un ostruzionismo che si abbatte non solo sulle proposte di legge provenienti dai banchi dell’opposizione, ma anche su quelle ascrivibili agli esponenti della maggioranza.
Questo significa che il Parlamento non discute più, non sceglie più. Insomma significa che in Aula si ratificano solo i decreti del governo. In questa maniera in Italia il governo strangola la democrazia parlamentare che è precondizione per l’esistenza della democrazia tout-court!

Ovviamente, il PD approva la scelta del presidente della Camera. Il segretario del PD Pier Luigi Bersani ha dichiarato che “è veramente disdicevole che la Camera stia a casa mentre c’è la crisi, ma il presidente fa il suo dovere. La realtà – ha proseguito Bersani – è che si lavora solo se il governo fa un decreto e se mette la fiducia e questo non va. La crisi economica pretende una solenne discussione in Parlamento per trovare soluzioni adeguate; perché la nuvola non è passeggera e i cieli non sono azzurri. Se non ci si dà una mossa, usciremo dalla crisi tra dieci anni. La premessa è riconoscere che il problema c’è, altrimenti così è impossibile predisporre le ricette per fronteggiarla”.

Tirando le somme il risultato è allarmante. Se da un lato il capo del governo svuota ogni giorno di più il ruolo del Parlamento delle sue fondamentali prerogative, dall’altro sferra attacchi sistematici all’indipendenza della Magistratura. E’ perciò inevitabile constatare che la democrazia in Italia sia in serio pericolo. Infatti l’equilibrio dei tre poteri – Legislativo, Giudiziario ed Esecutivo la cui separazione ed indipendenza è necessaria – sta saltando a tutto beneficio dell’Esecutivo. Se a questo ci aggiungiamo quanto abbiamo già denunciato a riguardo, cioè della brutta aria che tira sull’informazione, dobbiamo alzare ancora di più la nostra voce e far fronte deciso contro un’azione di governo che sta pregiudicando la stabilità democratica del Paese.