Con la nascita di Futuro e Libertà per l’Italia, il gruppo parlamentare nato dopo la scissione dei finiani dalla maggioranza del Pdl, si è venuto a creare un paradosso politico del tutto nuovo, o, almeno, non significativamente presente nella politica repubblicana italiana.
Alcuni esponenti del Pdl come Lupi e Bondi, hanno suggerito al Presidente della Camera Gianfranco Fini di comportarsi come Sandro Pertini 40 anni fa, e offrire le proprie dimissioni da quel ruolo di garante istituzionale che ricopre da due anni, ovvero dal giorno che Berlusconi formò il Governo e lo suggerì al Presidente Napolitano come Presidente della Camera.
Fini ha già fatto sapere che non si dimetterà perché la sua carica non dipende dal partito del Presidente del Consiglio, e, anche se il gruppo nato da poco è “incompatibile con i principi ispiratori del Popolo della Libertà“, il Presidente della Camera ritiene il suo ruolo perfettamente sincrono con il volere degli elettori e della stessa Costituzione a cui fa riferimento.
Contrari alle dimissioni di Gianfranco Fini sono naturalmente le opposizioni – col Partito Democratico in testa – perché, giustamente, la Presidenza della Camera è super partes rispetto agli stessi partiti di governo e opposizione.
In un’intervista di oggi a Repubblica, il Senatore Luciano Violante ha confermato le nostre dichiarazioni di massima:
«I ruoli super partes non possono decadere per una scelta della maggioranza parlamentare, non sono nelle mani di chi ha vinto le elezioni».
Alla domanda se crede sia giusto prendere esempio dal gesto che Pertini fece nel 1969 proponendo le sue dimissioni da Presidente della Camera, Violante risponde:
«Quelle dimissioni avevano alle spalle un processo di scomposizione consensuale dei socialisti. Qui invece la maggioranza di un partito ha messo alla porta la minoranza, questo è il succo.»
In molti si saranno chiesti cosa successe nel luglio di 41 anni fa, e cosa portò il futuro Presidente della Repubblica a presentare le proprie dimissioni dalla carica che oggi detiene Fini.
Successe semplicemente che l’allora Onorevole Pertini venne eletto Presidente della Camera con il sostegno del Partito Socialista Unificato (PSU), raccogliendo molti dei 364 voti che gli servirono a farsi eleggere dal suo gruppo politico di appartenenza: il PSU era il partito che raccoglieva, dal 1966, i partiti di aria socialista PSI e PSDI. Durante il 1969 però si vennero a creare degli eventi tali – gli scarsi risultati elettorali e le normali divisioni interne – che il 5 luglio riportarono i socialisti e i socialdemocratici verso strade autonome. Alcuni giorni dopo Pertini fece un discorso alla Camera che vi proponiamo nel segmento più importante:
«Onorevoli colleghi, la situazione di un anno fa, quando voi mi faceste l’onore di eleggermi vostro Presidente, è oggi mutata. Correttezza vuole ch’io metta a vostra disposizione il mandato da voi affidatomi».
La Camera apprezzo il gesto di lealtà e correttezza che fece Pertini, ma con la stessa lealtà e correttezza rifiutò le dimissioni e Pertini continuò ad essere il Presidente della Camera. Non solo: Giulio Andreotti ricordò ai presenti che la spaccatura all’interno dei socialisti non alterava «minimamente i rapporti tra la Camera e la persona del suo presidente».
Quindi la presunta correttezza dei deputati Bondi e Lupi, è stata correttamente messa alla porta dal senatore Violante sulle pagine di Repubblica.
(Giacomo Lagona)