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Una scossa per il Pd provinciale

Pubblichiamo la lettera aperta di Gianni Ghiani, Presidente dell’Assemblea provinciale del Pd Pordenonese nonché segretario del Pd Cordenons, pubblicata oggi sui quotidiani locali.

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All’indomani dell’assemblea provinciale del Pd vedo con maggiore evidenza il bicchiere mezzo pieno dei contenuti emersi piuttosto che quello mezzo vuoto della bassa partecipazione. Finalmente si è tornati a discutere estesamente di contenuti con l’intenzione di mettere a fuoco in modo organico e sistemico alcuni dei grandi nodi che dobbiamo riuscire a sciogliere per dare una prospettiva all’Italia, alla nostra regione e al nostro territorio provinciale.

E’ emerso chiaramente come la questione del lavoro che manca, soprattutto per i giovani e le donne, è un vulnus per lo sviluppo strutturale della nostra società. Le imprese e le filiere di distretto possono tornare a dare lavoro se potranno contare su un sistema del credito centrato sullo sviluppo dell’economia reale e non sulla finanza; questa, lasciata crescere senza limiti, finisce per distruggere le imprese e l’occupazione. Dobbiamo altresì uscire dal circolo vizioso per cui la maggiore competitività del Paese si può conseguire solo con una maggiore precarietà dei lavoratori. Non è più accettabile che i giovani facciano una trafila indefinita e senza prospettiva fatta di stage, apprendistato, contratti a progetto e /o a tempo determinato; questo mette a rischio la stessa sostenibilità del sistema pensionistico e del welfare in generale, comunque da riformare.
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Bersani: «Azzeriamo il Cda Rai e mettiamo un amministratore»

Il segretario del PD Pier Luigi Bersani scrive al Corriere della Sera sulla situazione della RAI proponendo una soluzione per migliorarne l’attuale disastro. L’attacco al Cda è tangibile: «Non si può più assistere al degrado della tv pubblica. Basta ricatti dal premier»

Caro direttore,
non ci stiamo. Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico. Non si può tollerare il ricatto di un primo ministro che minaccia quando vede programmi che non lo elogiano. E dimentica che questa Rai, questo direttore generale, la maggioranza del consiglio di amministrazione dell’azienda, sono quelli che lui ha voluto e imposto. È arrivato davvero il momento di cambiare. Questa gestione governativa della Rai porta al crollo di quella che è stata una grande azienda. La spinge verso posizioni marginali del mercato, succube di Mediaset e Sky su due settori strategici, quello della raccolta pubblicitaria, e quello della concorrenza sulle nuove piattaforme.

Il tutto mentre il governo si appresta a regalare nuove frequenze senza che lo stato ne tragga alcun beneficio, mentre nel resto d’Europa si svolgono aste miliardarie. Per correggere questa distorsione presenteremo opportuni emendamenti alla manovra. Non è accettabile che Berlusconi, principale azionista di Mediaset, primo concorrente della Rai, resti sulla poltrona di ministro dello Sviluppo economico, insensibile al conflitto di interessi che grava su di lui. E che da quella poltrona minacci di non firmare il contratto di servizio, tagliando i fondi alla Rai perché non ottiene quello che vuole: l’allontanamento di questo o quel giornalista, di questo o quel dirigente. O si cambia la governance della Rai o l’azienda andrà verso il baratro della decadenza. Ci sono due emergenze plateali: una democratica, una economico-industriale, con un bilancio in forte perdita, una prospettiva di piano industriale fatto di tagli, di sacrifici, senza alcun ripensamento complessivo della missione aziendale del servizio pubblico. Parte non piccola delle responsabilità è di questo consiglio e di questo management, che non ha saputo affrontare la sfida né mostrare la necessaria autonomia dalla politica.

Lo spettacolo di quello che dovrebbe essere un organo di gestione trasformato in una sorta di parlamentino riunito per gestire e assecondare le aggressive ossessioni della maggioranza è davvero sconcertante. In attesa di una riforma più articolata e importante del servizio pubblico nell’era della svolta digitale, della rivoluzione del sistema radiotelevisivo con la presenza di molte piattaforme tecnologiche, e soprattutto in vista dell’arrivo della banda larga (che fine hanno fatto gli investimenti promessi dal governo? Dove sono finite le risorse che erano state accantonate dal centrosinistra?) facciamo una proposta seria, semplice e chiara: un amministratore delegato con poteri pieni, sia pure indicato dall’azionista Tesoro, scelto dai due terzi di un nuovo consiglio di amministrazione; un consiglio di amministrazione espresso anche da Regioni e Comuni oltre che dalla Vigilanza. Vogliamo una Rai che non dipenda più dalle segreterie dei partiti, vogliamo un’azienda che sia gestita il più possibile con le regole del codice civile.

La nostra proposta non costa un euro. Se ci fosse in parlamento una maggioranza che sentisse, come noi sentiamo, la responsabilità di ridare credibilità al servizio pubblico, questa piccola grande legge potrebbe passare in pochissimo tempo. E se ci fosse un azionista che davvero ha a cuore il destino della Rai, non sarebbe certo impossibile intervenire rapidamente. E il nuovo amministratore delegato scelto per le sue competenze ed esperienze manageriali avrebbe — secondo la nostra proposta—180 giorni per presentare un piano di riorganizzazione da sottoporre al parlamento. Nel tempo che viviamo, in cui la comunicazione spesso detta l’agenda alla politica, è irrinunciabile per una democrazia poter contare su un servizio pubblico gestito in maniera autonoma e indipendente, precondizione per offrire un terreno di gioco neutro a tutte le forze in campo. La nostra è una proposta di buon senso. Non si può non vedere il crescente disagio e distacco che matura nell’opinione pubblica verso un’azienda che in passato è stata una fucina di idee, e un importante fattore di coesione nazionale. E che nel futuro potrebbe essere una vera palestra di autonomia, di creatività e libertà espressiva, di innovazione. Al di fuori di questi obiettivi non ci può essere infatti un senso riconoscibile per un servizio pubblico.

Pier Luigi Bersani
segretario del Pd

È solo un imbecille

Quando si hanno dei figli mongoli è meglio restarsene a casa“. Infastidito dal gioco di una bimba down seduta nel tavolo vicino, il cliente di una pizzeria di Treviso ha apostrofato così i suoi genitori. Per non turbare ulteriormente la bambina, lì per lì il padre non ha reagito all’offesa ma, non volendo far passare sotto silenzio questo “atto di inciviltà”, ha scritto una lettera alla Tribuna di Treviso.

L’ho fatto perché simili scene non accadano più – spiega il papà – in un istante quell’uomo è riuscito a rovinare una tranquilla serata, ma non ho voluto che mia figlia assistesse a una scenata che avrebbe trasformato un bel ricordo in un trauma”.

La famiglia – padre, madre e quattro bambine dai tre ai nove anni – aveva appena finito di mangiare la pizza e, in attesa del caffé, una cameriera intratteneva la più grande facendola giocare con dei ritagli di carta. Un foglietto è inavvertitamente volato sul tavolo vicino, dove un signore stava cenando insieme alla famiglia e ad alcuni amici, cadendo vicino ad un piatto: la reazione è stata quella frase brutale e intollerante che ha creato il gelo e di fronte alla quale nessuna delle altre persone sedute al tavolo ha reagito.

“Cose del genere non devono succedere – dice il titolare della pizzeria – se avessi assistito alla scena avrei allontanato quel cliente arrogante e cattivo. Di clienti così facciamo volentieri a meno”.