Vogliono vederci chiaro gli avvocatoni della Rai, sollecitati dal dg Masi, prima di dare il loro benestare alla messa in onda degli spot (dal 6 aprile) di “Silvio Forever”, il film di Roberto Faenza sceneggiato da Stella e Rizzo. Noi comunque possiamo già aiutarli: non è un film a favore del premier. Adesso ce li fate vedere?
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Vieni via con me?
Dunque, la cosa è semplice. C’è un noto conduttore della Tv di Stato che vorrebbe fare una trasmissione d’informazione con un noto scrittore di libri sulla camorra. Questo scrittore a sua volta vorrebbe invitare un noto attore e regista, vincitore di un Oscar, per parlare di disoccupazione giovanile e lavoro.
L’agente dell’attore/regista cerca di essere chiaro: «mi sono limitato a chiedere quale fosse l’offerta dell’azienda». La Tv di Stato offre 250mila euro, cifra molto al di sotto del compenso normale dell’artista. Ma con tutto ciò l’agente accetta immediatamente: lo show il suo cliente vuole farlo perché è importante, non solo perché viene pagato. Qualche settimana dopo però scoppia lo scandalo compensi, e il Direttore Generale della Tv di Stato respinge tutti i contratti in firma volendoci vedere chiaro.
All’agente viene fatta una nuova offerta per un decimo della prima – «una decurtazione, mi è stato spiegato, chiesta dalla direzione generale». L’agente dapprima non accetta perché è un pretesto per colpire la trasmissione, ma il suo assistito dichiara invece che è disposto a lavorare perfino gratis, tanto ci tiene a qual programma.
I politici si sa, quando sono sotto i riflettori fanno a chi la spara più grossa*:
«ha chiesto 200 mila euro per mezz’ora! 200 mila euro per mezz’ora! A parlare di disoccupazione! … e quelli che guardano da casa sanno che uno va lì e prende 200 mila euro per mezz’ora, ma i problemi delle persone sono di dare a uno 200 mila euro per mezz’ora? … non ci sono soldi! … altroché condizioni … e certo che poi ha detto che viene gratis! … Solo perché è stato smascherato!»
Ora: una trasmissione fatta solo di monologhi, di vecchi oncologi che parlano del cancro, di toscani che spernacchiano la politica, di cantanti irlandesi che guardano la fame nel mondo col jet privato, da direttori d’orchestra che discutono di musica classica e altri millemila “siamo buoni e abbiamo ragione”, io di quella trasmissione ne posso fare benissimo a meno. Ma non posso, non voglio e non riesco a fare a meno dei milioni di italiani che non la vedranno perché nel paese se non sei allineato ad una certa politica non vai in onda. Ed è proprio in questi casi che la parola non si nega a nessuno.
*al 61′ circa.
Bersani: «Azzeriamo il Cda Rai e mettiamo un amministratore»
Il segretario del PD Pier Luigi Bersani scrive al Corriere della Sera sulla situazione della RAI proponendo una soluzione per migliorarne l’attuale disastro. L’attacco al Cda è tangibile: «Non si può più assistere al degrado della tv pubblica. Basta ricatti dal premier»
Caro direttore,
non ci stiamo. Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico. Non si può tollerare il ricatto di un primo ministro che minaccia quando vede programmi che non lo elogiano. E dimentica che questa Rai, questo direttore generale, la maggioranza del consiglio di amministrazione dell’azienda, sono quelli che lui ha voluto e imposto. È arrivato davvero il momento di cambiare. Questa gestione governativa della Rai porta al crollo di quella che è stata una grande azienda. La spinge verso posizioni marginali del mercato, succube di Mediaset e Sky su due settori strategici, quello della raccolta pubblicitaria, e quello della concorrenza sulle nuove piattaforme.
Il tutto mentre il governo si appresta a regalare nuove frequenze senza che lo stato ne tragga alcun beneficio, mentre nel resto d’Europa si svolgono aste miliardarie. Per correggere questa distorsione presenteremo opportuni emendamenti alla manovra. Non è accettabile che Berlusconi, principale azionista di Mediaset, primo concorrente della Rai, resti sulla poltrona di ministro dello Sviluppo economico, insensibile al conflitto di interessi che grava su di lui. E che da quella poltrona minacci di non firmare il contratto di servizio, tagliando i fondi alla Rai perché non ottiene quello che vuole: l’allontanamento di questo o quel giornalista, di questo o quel dirigente. O si cambia la governance della Rai o l’azienda andrà verso il baratro della decadenza. Ci sono due emergenze plateali: una democratica, una economico-industriale, con un bilancio in forte perdita, una prospettiva di piano industriale fatto di tagli, di sacrifici, senza alcun ripensamento complessivo della missione aziendale del servizio pubblico. Parte non piccola delle responsabilità è di questo consiglio e di questo management, che non ha saputo affrontare la sfida né mostrare la necessaria autonomia dalla politica.
Lo spettacolo di quello che dovrebbe essere un organo di gestione trasformato in una sorta di parlamentino riunito per gestire e assecondare le aggressive ossessioni della maggioranza è davvero sconcertante. In attesa di una riforma più articolata e importante del servizio pubblico nell’era della svolta digitale, della rivoluzione del sistema radiotelevisivo con la presenza di molte piattaforme tecnologiche, e soprattutto in vista dell’arrivo della banda larga (che fine hanno fatto gli investimenti promessi dal governo? Dove sono finite le risorse che erano state accantonate dal centrosinistra?) facciamo una proposta seria, semplice e chiara: un amministratore delegato con poteri pieni, sia pure indicato dall’azionista Tesoro, scelto dai due terzi di un nuovo consiglio di amministrazione; un consiglio di amministrazione espresso anche da Regioni e Comuni oltre che dalla Vigilanza. Vogliamo una Rai che non dipenda più dalle segreterie dei partiti, vogliamo un’azienda che sia gestita il più possibile con le regole del codice civile.
La nostra proposta non costa un euro. Se ci fosse in parlamento una maggioranza che sentisse, come noi sentiamo, la responsabilità di ridare credibilità al servizio pubblico, questa piccola grande legge potrebbe passare in pochissimo tempo. E se ci fosse un azionista che davvero ha a cuore il destino della Rai, non sarebbe certo impossibile intervenire rapidamente. E il nuovo amministratore delegato scelto per le sue competenze ed esperienze manageriali avrebbe — secondo la nostra proposta—180 giorni per presentare un piano di riorganizzazione da sottoporre al parlamento. Nel tempo che viviamo, in cui la comunicazione spesso detta l’agenda alla politica, è irrinunciabile per una democrazia poter contare su un servizio pubblico gestito in maniera autonoma e indipendente, precondizione per offrire un terreno di gioco neutro a tutte le forze in campo. La nostra è una proposta di buon senso. Non si può non vedere il crescente disagio e distacco che matura nell’opinione pubblica verso un’azienda che in passato è stata una fucina di idee, e un importante fattore di coesione nazionale. E che nel futuro potrebbe essere una vera palestra di autonomia, di creatività e libertà espressiva, di innovazione. Al di fuori di questi obiettivi non ci può essere infatti un senso riconoscibile per un servizio pubblico.
Pier Luigi Bersani
segretario del Pd
La destra non rinuncia al bavaglio sull’informazione
Il CdA Rai dopo la sentenza del TAR rifiuta di far tornare in onda i talk show. Voto contrario e dichiarazione congiunta dei consiglieri vicini al centrosinistra. Orfini e Gentiloni: “Siamo al suicidio della Rai”
Sono bastati solo pochi minuti al Cda della Rai per ribadire il No ai talk show politici in Tv. Cinque voti contro quattro hanno rimarcato quanto stabilito quasi un mese fa e fatto capire come la sentenza del Tar, che bocciava la censura dei dibattiti politici, fosse solo un piccolo ostacolo da non considerare. Insomma una conferma di coerenza da parte della maggioranza: senza regole e senza ritegno, ma con il bavaglio all’informazione.
Matteo Orfini, responsabile Cultura e Informazione della segreteria Pd attacca: “Dalla maggioranza del Cda Rai arriva una decisione sbagliata che danneggia l’azienda e priva gli utenti di un servizio importante, specie nel periodo elettorale. La maggioranza di destra, prima in commissione di Vigilanza poi in Consiglio di amministrazione, ha messo un bavaglio all’approfondimento.
Un regolamento che è stato giudicato palesemente illegittimo prima dal Tar poi dall’AgCom. Si è creata una situazione di grande difficoltà per l’azienda pubblica radiotelevisiva e un duro colpo per la libertà d’informazione. Invitiamo, perciò, la maggioranza di destra ad un atto di responsabilità, affinché riprendano le trasmissioni prima della chiusura della campagna elettorale”. Non ci sarà dunque nessun ritorno in video, per il momento, di Porta a Porta, di Annozero e di Ballarò e sarà la Commissione di Vigilanza a dover decidere sul regolamento della par condicio dopo la sentenza del Tar che ha accolto il ricorso di Sky e La7 sul regolamento dell’Agcom per le tv private.
La motivazione si legge in una nota ufficiale: “Alla luce delle ordinanze del Tar in relazione alla regolamentazione in materia di informazione e comunicazione politica in periodo elettorale, il Consiglio di Amministrazione della Rai, dopo un ampio dibattito, ha approvato a maggioranza la delibera con la quale ha dato mandato al Direttore Generale di acquisire al più presto dalla Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi le valutazioni di competenza, cui la Rai dovrà adeguarsi».
Alla grande delusione mostrata dal presidente Rai, Paolo Garimberti si è aggiunta un forte disappunto da parte dei consiglieri vicini alle opposizioni: Rodolfo De Laurentiis, Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten che hanno congiuntamente dichiarato: ”Esprimiamo il nostro voto contrario perché si tratta di una decisione dilatoria che non sana la forzatura di interpretazione del regolamento compiuta quando a maggioranza fu decisa la sospensione di quattro trasmissioni di approfondimento. L’ordinanza del Tar sulla delibera dell’Agcom e l’invito della stessa Autorità di Garanzia a riconsiderare la delibera assunta dal Cda avrebbero dovuto indurre la Rai a ricollocare in palinsesto da subito gli approfondimenti informativi. Siamo tra l’altro convinti che la conferma della sospensione rende concreto il rischio per l’Azienda di sanzioni”.
Duro anche Paolo Gentiloni, presidente del Forum Ict del Pd: “La Rai sarà dunque l’unica televisione senza programmi di informazione politica durante la campagna elettorale, ossia nel momento di maggiore interesse per l’opinione pubblica. E’ una decisione scandalosa, un autentico suicidio per la Rai appena mascherato dallo scaricabarile sulla commissione di Vigilanza. A questo punto il rinvio alla Vigilanza appare infatti come un mero alibi, visto che il Cda avrebbe potuto decidere autonomamente la fine del black out. Siamo di fronte a una chiara violazione degli obblighi di servizio pubblico, oltre che della legge sulla par condicio e per questo mi auguro che AgCom intervenga per imporre, sia pure all’ultimo minuto, un cambio di rotta anche alla Rai”.
E Fabrizio Morri, capogruppo PD nella Commissione di Vigilanza accusa i consiglieri RAI di “rimandare fintamente la palla alla vigilanza Rai dove la maggioranza di centrodestra, esattamente come loro, ci dirà che il regolamento non si tocca e che spetta al Cda Rai decidere. Come si vede siamo alla commedia dell’ipocrisia che si spinge fino a danneggiare pesantemente una azienda come la Rai per correre dietro alle ossessioni televisive del presidente del Consiglio. Berlusconi, infatti, è pronto pur di non avere trasmissioni ritenute scomode, a chiudere anche il programma di Vespa, a violare la Costituzione e a calpestare il diritto di fare informazione e di essere informati”.
Vincenzo Vita, senatore PD e componente della Vigilanza mette sul banco d’accusa il conflitto d’interessi: “Il Cda è un organo di amministrazione e con la scelta assunta favorisce di fatto la concorrenza. Di tutto questo dovrà rispondere nelle sedi competenti. E si è in violazione del contratto di servizio, tema sul quale ha competenza l’Autorità per le Comunicazioni”. Un brutto cortocircuito.