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A rischio la riforma sanitaria di Obama

Il 12 gennaio ci sarà il voto al Senato americano per abrogare la riforma sanitaria proposta da Obama e votata a marzo dell’anno scorso. Oggi ne parla anche l’Huffington Post. Tuttavia per abolire la riforma sanitaria i repubblicani dovrebbero avere una maggioranza di 60 voti al Senato e invece ne hanno 47 in virtù della nuova maggioranza appena insediatasi.

Ma se per un miracolo impensabile anche il Senato votasse l’abrogazione – cioè 13 democratici votassero contro il loro stesso presidente – , Obama metterebbe il veto tipo cinque secondi dopo. A quel punto, per superare il veto presidenziale, ai repubblicani non resta che avere una maggioranza dei due terzi al Senato e alla Camera, cosa che non hanno e non potranno mai avere.

Il voto del 12 gennaio voluto dai repubblicani quindi è solo un po’ di rumore per far vedere ai propri elettori che si danno da fare. La riforma sanitaria rimarrà al suo posto senza problemi.

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Diario di Mid Term

Per chi vuole farsi un’idea di quello che sta succedendo in America per le elezioni di medio termine del 2 novembre, Francesco Costa sta scrivendo un diario imperdibile.

Arizona, bocciata la legge sull’immigrazione clandestina

Lo scorso aprile la governatrice dell’Arizona Jan Brewer aveva firmato una discutibilissima legge sull’immigrazione clandestina appena approvata dal Congresso dello stato. La legge prevedeva che la polizia potesse fermare chiunque per il solo “ragionevole sospetto” di essere immigrato clandestino, e potesse perfino arrestarlo se trovato senza documenti di riconoscimento. Ciò comportava che ogni immigrato era obbligato a portare sempre dietro i documenti.

La legge approvata in Arizona è molto sostenuta dalla popolazione locale: lo stato si trova al confine con il Messico, e dato che proprio il Messico è il paese da cui provengono la maggior parte degli immigrati e grossi quantitativi di droga arrivano negli States da questo confine, secondo un sondaggio del Washington Post i favorevoli sarebbero in maggioranza attestandosi attorno al 58 per cento.

L’amministrazione Obama aveva fortemente criticato la legge alludendo al fatto che potrebbe erodere la fiducia della gente nelle forze di polizia, col risultato che anche la sicurezza ne risentirebbe:

«Quello che è accaduto in Arizona minaccia di minare i principi basilari del nostro paese, così come la fiducia tra la polizia e le loro comunità, fondamentale per mantenere la sicurezza».

Giorni più tardi Obama aveva incaricato il Dipartimento di Giustizia di fare ricorso contro l’Arizona per violazione delle leggi federali sull’immigrazione. Negli USA il reato d’immigrazione clandestina rientra nella sfera federale, è dunque Washington a doversene occupare. Alla luce di queste nuove affermazioni, la Governatrice Brewer avrebbe firmato una legge non di sua competenza, dunque del tutto irregolare.

Oggi la corte federale di Phoenix ha temporaneamente bloccato la legge sospendendo alcune norme contenute al suo interno.

La corte federale, presieduta dal giudice Susan Bolton, ha parzialmente accolto il ricorso del Dipartimento di Giustizia, riservandosi però la decisione finale – attesa comunque entro un paio di settimane – appena analizzerà in maniera più approfondita i documenti presentati da Washington e dallo stato dell’Arizona.

Il giudice ha sospeso le norme più controverse, ovvero il diritto della polizia di chiedere i documenti a qualsiasi immigrato sulla base del semplice “ragionevole sospetto”, e l’obbligo per ogni immigrato di portare sempre con sè un documento di riconoscimento.

La motivazione della sentenza la spiega la stessa giudice Bolton:

«Appare molto probabile che la polizia finirebbe per arrestare anche cittadini in regola con il permesso di residenza. Con questa iniziativa l’Arizona finirebbe per imporre uno straordinario e raro onere agli immigrati legali, un onere che solo il governo federale ha facoltà di imporre».

All’indomani della firma la governatrice Brewer ha visto impennarsi i sondaggi a suo favore (non solo in Arizona, anche nel resto degli Stati Uniti) e si era messa in luce tra i repubblicani, con la sospensione della legge i consensi probabilmente caleranno, però in compenso si parlerà molto di più della donna che ha messo in discussione la politica sull’immigrazione dell’amministrazione Obama, soprattutto dopo i continui posticipi di Washington per una riforma sulla clandestinità e sul pattugliamento dei confini di cui l’Arizona è maggiormente penalizzato.

A novembre si vota per il Governatore dello stato, e la Brewer probabilmente verrà rieletta.

(Giacomo Lagona)

This is for Robert Byrd. Aye!

Alla fine l’età ha avuto il sopravvento. Il veterano dei senatori statunitensi, il Senatore Democratico Robert Byrd, è morto stamattina in un ospedale della Virginia a 92 anni.

La storia politica del vecchio senatore del West Virginia è fustellata di successi fin dalla sua prima elezione alla Camera nel 1952 quando Dwight Eisenhower venne eletto presidente, e quando sette anni dopo venne eletto Senatore con Lyndon Johnson leader del Senato, con cui formò una coppia storica al Campidoglio.

Dal 1989 è stato il senatore decano, per cui più volte Presidente pro tempore del Senato durante i periodi in cui i democratici ne hanno detenuto la maggioranza compresa l’attuale. In questa veste, Byrd è stato il terzo nella linea di successione presidenziale – dietro al Vicepresidente Joe Biden e alla Speaker della Camera Nancy Pelosi – ed aveva inoltre l’incarico di firmare le leggi approvate dal Congresso subito prima d’essere sottoposte all’approvazione del Presidente.

Oggi, nella seduta mattutina del Senato, il lastricato era coperto con un tappeto nero in segno di lutto, il suo banco era ricoperto di fiori bianchi e le bandiere del Congresso erano a mezz’asta. Tra i tanti che hanno espresso il loro dolore in Senato, le parole del leader dei Repubblicani Mitch McConnell sono state le più espressive: “Lo ricordiamo per il suo spirito di combattente, la sua fede costante, e per le volte che ha ricordato a tutti noi lo scopo del Senato. Generazioni di americani leggeranno la magistrale storia che ha lasciato con la sua morte, rileggendo la vita straordinaria di Robert Carlyle Byrd“.

Negli anni ’40 faceva parte del Klu Klux Klan e nel 1964 votò contro il Civil Rights Act – la legge sui diritti civili voluta da JFK e portata a termine dal suo successore ad interim Lyndon Johnson alla morte di John Kennedy. Cionondimeno è stato uno dei maggiori sostenitori del primo Presidente nero degli Stati Uniti. Tantissimi sono gli aneddoti legati al Senatore Byrd: l’ultimo è storia recente.

Durante il primo voto alla riforma sanitaria voluta da Obama, ai democratici servivano 60 voti per farla passare e quindi completare l’iter congressuale finito un paio di mesi fa. Era da poco scomparso il vecchio leone del Congresso Ted Kennedy, e molti democratici speravano che il Senatore Byrd, vecchio e malato, riuscisse a votare e far passare la legge alla prima esposizione. Tulle le volte che Byrd andava in Senato a votare – cosa ormai rara da parecchi anni – erano sempre abbracci e ovazioni sia tra i colleghi di partito, che tra i Repubblicani i quali riconoscevano nell’anziano guerriero un avversario di prim’ordine. Durante il Natale dell’anno scorso, qualche Repubblicano sperava addirittura che morisse così da beneficiare del mancato voto e bloccare la riforma già sul nascere. Il Senatore Byrd non soltanto visse, ma, spinto con la carrozzella dai suoi colleghi senatori, andò a votare e ruppe il protocollo secolare del Senato rispondendo alla chiamata della Presidenza non con il classico «Aye» (il nostro sì), ma con un bellissimo

«This is for my friend Ted Kennedy. Aye!»

La riforma passò e nel mese di marzo divenne legge.

Oggi il veterano dei senatori è morto, e la legge finanziaria che Obama vorrebbe far approvare prima delle elezioni di medio termine è a rischio esattamente come il primo passaggio di quella sanitaria un anno fa. Anche se qualcuno dice il contrario, servono sempre quei fatidici sessanta voti per farla passare al Senato. E Robert Byrd non può più dire Aye.

(Giacomo Lagona)

Follia

di Giacomo Lagona

Settimana scorsa si dava del “pollo” ai democratici perché la riforma sanitaria era viziata da norme procedurali e quindi andava rivotata. Tutto perché, lo stesso giorno, Repubblica titolava “Rinviata per irregolarità procedurale“. Rileggendo l’articolo però si notano due cose: la prima che i giornali italiani non si informano affatto prima di formulare assurde tesi sul rinvio o sulla votazione di leggi importantissime come quella appena varata dal governo americano; la seconda che bastava farsi un giro nei maggiori quotidiani americani per rendersi conto di cosa effettivamente andava rivotato.

La riforma voluta da Obama, votata e firmata domenica sera, è legge. E le leggi, in particolar modo quelle americane, non possono essere rivotate, mentre, se proprio si volesse, possono essere abrogate con le votazioni di Camera e Senato e successivamente firmate dal Presidente. Il Presidente firma l’abrogazione della legge, cioè un altra legge, non l’annullamento alla prima. Non funziona così!

Se Repubblica – ma anche il CorrierePanorama – si fossero fatti un giro tra i giornali americani, avrebbero capito senza tanti fraintendimenti che la legge ritornata al Senato e poi alla Camera è una regola minore all’interno della riforma. La Reconciliation bill, la norma tornata al Congresso per essere ratificata nuovamente, è un piccolo codicillo migliorativo che viene votato dal Senato quando la Camera manda indietro una legge per modificarla ulteriormente. Nella fattispecie la reconciliation non c’entra assolutamente nulla con la riforma sanitaria di Obama, ma come capita anche in Italia era stata inserita in un pacchetto di leggi molto più ampi, esattamente come quella approvata domenica scorsa.

Ancora. La reconciliation chiedeva che le rette per i college non avessero nulla a che fare con il bilancio, quindi andavano riconsiderate. Il college. Le rette. Non è sanità.
In conclusione: uno spruzzetto di righe avrebbe bloccato, sempre secondo i nostri giornali, una legge enorme  di non so quante pagine per una retta del college che non rientra nel bilancio statale. Avete capito che si sta parlando di follie vero!?

Come volevasi dimostrare il Senato e la Camera l’hanno prima stralciata, e poi rivotata con una maggioranza ancora superiore di quella di domenica, quindi i repubblicani hanno preso un altro schiaffo peggiore di quello preso nel weekend scorso. Che dire: contenti loro!

Mi piacerebbe però che anche i nostri giornali ammettessero l’errore invece che far finta di nulla e dare solo la notizia. Ma pure questa è follia. E che ci volete fare…

E’ fatta!

di Giacomo Lagona

Questa non è una riforma radicale ma è una grande riforma. Questo è il vero cambiamento“.

Obama è riuscito in quello che nessun suo predecessore era mai riuscito prima: una riforma che riguarda 32 milioni di americani senza assistenza sanitaria con una spesa di 940 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Alla mezzanotte di ieri – alle 5 di questa mattina in Italia – il Presidente americano ha tenuto il discorso di ringraziamento ai deputati democratici che hanno votato la riforma da lui fortemente voluta 14 mesi fa. Duecentodiciannove contro duecentododici i voti, tutti democratici e nessuno repubblicano: la condivisione bipartisan chiesta da Obama si è scontrata con la dura legge dei repubblicani e della loro sciocca visione della libertà individuale.

Non è stata facile per il Presidente americano far approvare la riforma, soprattutto visti gli scontri ideologici all’interno del suo stesso partito: Bart Stupak del Michigan è il deputato antiabortista che ha creato più problemi, ma Obama, in una riunione poco prima della votazione, ha firmato un “ordine esecutivo” legittimando il divieto di usare i fondi federali per il rimborso delle spese nelle interruzioni di gravidanza. Questo è bastato al deputato del Michigan per votare la legge sanitaria, e anche se 34 Democratici hanno votato contro per paura delle prossime elezioni di novembre, il loro voto è diventato ininfluente ai fini dell’approvazione. Il voto positivo ha scongiurato pure l’insuccesso di gennaio, quando, dal posto al Senato lasciato vacante dalla morte di Ted Kennedy, i Democratici si sono visti battere da Scott Brown, vincendo contro il procuratore capo del Massachussets Martha Coakley, in un seggio kennediano da oltre 60 anni. Questa sconfitta sembrava affossare definitivamente le ambizioni del Presidente nero, ma l’ingordigia delle multinazionali hanno fatto il gioco di Obama: il meso scorso la Blue Cross, colosso delle assicurazioni statunitensi, ha aumentato le polizze sanitarie del 39 per cento, dando la possibilità a Obama di tornare in auge con la riforma accusando i Repubblicani di speculare con la pelle della povera gente facendo accumulare enormi ricchezze alle multinazionali sanitarie. Da quel giorno la rincorsa alla riforma e iniziata nuovamente. Oggi è finita definitivamente. La riforma verrà votata in Senato a breve, e in settimana Obama apporrà il suo nome a quella che è considerata la prima storica riforma americana.

Cosa cambia. Cambia tantissimo per le società assicurative: vietato rescindere polizze in uso quando un paziente è malato (usata spessissimo per non pagare le rette ospedaliere salate); vietato rifiutare una polizza invocando malattie preesistenti nei bambini; vietato introdurre tetti massimi di rimborsi quando le spese diventano troppo onerose (ad esempio nei pazienti con terapie intensive ad alto costo tipo il cancro); il diritto per le famiglie di mantenere nella propria copertura assicurativa anche i figli sotto i 26 anni, graditissima oggi più che mai con la grave crisi economica; multe salatissime alle aziende con oltre 50 dipendenti che rifiutano l’assicurazione sanitaria ai lavoratori (la media di una polizza costa al dipendente circa 12mila dollari annui).

Quando parte. La riforma avrà validità nel momento in cui Obama la firmerà, e riguarderà, dal 2014, oltre 32 milioni di americani che fino ad oggi – vuoi per il basso reddito, vuoi perché con malati cronici in casa – non ne hanno potuto usufruire. Di questi 32 milioni quasi la metà usufruiranno della Medicare e della Medicaid, la mutua statale per gli anziani e i meno abbienti voluta da Johnson 45 anni fa: la prima va a coprire gli ultra-sessantenni che nel 2005 erano oltre 43 milioni; la seconda gli indigenti che non superano i 29mila dollari di reddito annui con quattro persone a carico – nel 2005 erano oltre 45 milioni gli americani che sfruttavano il programma di Lindon Johnson. I circa 16 milioni di oggi si aggiungono agli oltre 107 mln di americani che già prima della riforma Obama ne facevano uso, mentre l’altra metà sarà costretta a comprarsi una polizza esattamente come adesso, ma scegliendola da un paniere sorvegliato dallo Stato e con sussidi pubblici fino a 6mila dollari annui: questo per far in modo che la polizza non superi il tetto massimo del 9.5 per cento del reddito annuo.

Cosa prevede. La riforma prevede che tutti gli americani beneficino di una copertura sanitaria pro-tempore. Ovvero lo Stato mette tutti in condizione di sfruttare la sanità anche con fondi pubblici fino a quando non siano in grado di potersela pagare autonomamente. Perché, in fin dei conti, la sanità americana rimane pur sempre privata: gli ospedali rimangono a pagamento, gli interventi chirurgici restano a carico del paziente e qualsiasi forma di assistenza sanitaria è comunque privata, tranne il caso in cui le  famiglie beneficiano del programma di assicurazione sanitaria statale dei bambini. Il programma provvede alla copertura sanitaria per più di sei milioni di bambini in famiglie ove i genitori guadagnano troppo per essere inclusi all’interno del programma Medicaid, ma tuttavia non possono permettersi una assicurazione privata. Inoltre, vi sono molti altri programmi federali che beneficiano una popolazione più specifica, per esempio i veterani di guerra o i nativi americani, e molti programmi attivi a livello dei singoli stati o a livello locale, fra i quali più di mille “community center” che offrono cure gratis o a basso costo.

Cosa manca. Manca quella radicale innovazione chiesta da Obama al momento del disegno di legge, perché lasciato cadere ai primi scrosci di accuse fatte dall’estrema destra – lo slogan in voga mesi fa era la “socializzazione delle cure mediche” – per cui l’assenza è di un’assicurazione statale a basso costo disponibile a tutti che poteva far concorrenza a quelle private. In compenso però parte dei costi della stessa verrà riversata sulle aziende farmaceutiche sotto forma di aumenti fiscali, quindi chi prima ne beneficiava adesso è costretta a pagarne la sopravvivenza.

Chi vince e chi perde. La vittoria e la sconfitta è ambivalente. Obama e i Democratici hanno vinto nel medio termine innanzitutto perché la riforma è stata votata e approvata solo dal partito del Presidente, e inoltre per aver dato forma ad una legge che da 50 anni nessun Presidente era mai riuscito a far approvare. I Repubblicani hanno perso perché non sono riusciti – per mille motivi – a votare una legge condivisa con i Democratici in cui tutta la Camera dei Deputati, con coesione e unità, poteva sancirla. Nel lungo termine sia Obama che i Democratici probabilmente pagheranno questa vittoria con una sconfitta – o una sostanziale perdita di seggi – alle elezioni di midterm a novembre. Infatti una buona parte di americani non sono convinti della bontà di questa legge, ragion per cui questo malessere potrebbe danneggiare il Presidente al momento del rinnovo dei 435 rappresentanti della Camera, dei 33 del Senato e dei 36 Governatori dei 50 Stati federali. Insomma, Obama deve fronteggiare un vulcano in eruzione da oggi a otto mesi, e deve sperare nel frattempo che gli americani – soprattutto i beneficiari della riforma – capiscano l’utilità della legge e promuovano il Presidente dopo l’exploit di due anni fa.

Ma questa è un altra storia ed oggi siamo felici per quello che è successo nella lunga notte di Washington.

Scacco al re

di Giacomo Lagona

Obama è salito a Capitol Hill e ha chiesto ai deputati democratici di «resistere» e affrontare quella che potrebbe rivelarsi una votazione difficile dal punto di vista politico: a novembre sono infatti previste le elezioni per il rinnovo del Congresso.

«So che siete sotto pressione. Questo è uno di quei momenti. È una di quelle volte in cui potete dire onestamente a voi stessi: “Maledizione, è proprio per questo che sono qui”. So che sarà un voto duro, ma sono fiducioso perchè sono convinto che sia la cosa giusta da fare. Se ognuno di voi crede che questa legge non sia un miglioramento dello status quo, in cui persone sono costrette a morire senza cure, o a vendere la propria casa perchè non hanno i soldi per pagare il medico. Se credete onestamente dal profondo del cuore che è così, allora votate no. Se invece credete che il sistema attuale non funziona, che le assicurazioni non fanno sempre gli interessi dei cittadini, allora vota questa riforma. Non ti chiedo di farlo per me, o per il partito democratico, ma per il popolo americano, per quelle persone che non ce la fanno e hanno bisogno d’aiuto».

Ci sono voluti nove mesi per far arrivare alla Camera la riforma sanitaria voluta da Obama, e oggi si voterà per approvarla o buttare nove lunghi mesi di lavoro nella pattumiera. Il discorso del Presidente ai democratici non è quello di un politico che vuole far approvare una sua legge, ma il commento di un uomo che crede profondamente in quello che dice. Non sarà un santo – nessun politico lo è, men che meno un presidente americano – ma è un uomo decisamente caparbio e che crede sinceramente in una buona sanità pubblica e non solo ad una sanità assicurativa riservata a ricchi e benestanti. Gli Stati Uniti sono al collasso economico e questa legge avrà una duplice valenza: dare agli indigenti un minimo di copertura sanitaria, e far risparmiare agli States qualcosa come 1000 miliardi di dollari nei prossimi vent’anni. Non è cosa da poco!

«Il presidente Roosevelt ha fatto passare la Social Security, Lyndon Johnson ha fatto approvare Medicare. Oggi Barack Obama farà approvare la riforma della sanità», ha detto John Larson presidente del gruppo democratico della Camera. I Democratici ci credono, e pare che i cinque voti di scarto che avevano fino a qualche giorno fa sono stati rimpolpati nel carniere presidenziale. Ma sono gli indecisi la carta vincente – o perdente – di Obama. La pressione fatta ai democratici riguarda la copertura sanitaria per l’interruzione di gravidanza offerta con fondi pubblici. In questo senso il Presidente Obama sta lavorando su un ipotesi di accordo esecutivo separato dall’approvazione della riforma, tanto che il deputato del Michigan Bart Stupak, dopo aver ricevuto il no dalla speaker della Camera Nancy Pelosi sull’ipotesi di un secondo voto a riguardo, si è detto soddisfatto e da voci interne sembra possibile un suo voto favorevole alla legge presidenziale.

La riforma sanitaria voluta da Obama è la più importante dal 1965, quando Lyndon Johnson fece approvare Medicare per anziani e disabili. Questa riforma porterà l’assistenza sanitaria al 95 per cento degli americani, ossia a quei 32 milioni di statunitensi non coperti dalle assicurazioni, ma soprattutto fermerà la pratica di rifiuto perpetrata dalle assicurazioni a danno di chi è già malato. Oggi sapremo se i 940 miliardi di dollari che servono per coprire un decennio di riforma verranno stanziati sotto forma di approvazione, oppure l’America, ancora una volta, sarà sotto scacco delle lobby di Washington.

«So che questa legge non è perfetta. Non ci sono delle parti che ognuno di voi avrebbe voluto che ci fossero. Questo vale anche per me. Però è il più grande intervento legislativo per migliorare la vita degli americani. Per questo sono convinto che passerà. In fondo è per questo che sono entrato in politica, che mi sono sacrificato. È che credo nel mio paese e credo – ha concluso Obama – nella nostra democrazia».

La Camera oggi voterà separatamente sulla versione della riforma approvata dal Senato – che, se passerà, diverrebbe legge una volta firmata da Obama – e su un secondo pacchetto di modifiche, sponsorizzato dai democratici alla Camera.

[Update] Leggo adesso lo schedule della Camera per oggi (aggiungete 5 ore per avere l’ora italiana):

2 p.m.: The House will debate for one hour the rules of debate for the reconciliation bill and the Senate bill.

3 p.m.: The House will vote to end debate and vote on the rules of the debate.

3:15 p.m.: The House will debate the reconciliation package for two hours.

5:15 p.m.: The House will vote on the reconciliation package.

5:30 p.m.: The House will debate for 15 minutes on a Republican substitute and then vote on the substitute.

6 p.m.: The House will vote on the final reconciliation package.

6:15 p.m.: If the reconciliation bill passes, the House will immediately vote on the Senate bill, without debate.

48 ore

di Giacomo Lagona

Il presidente Barack Obama ha rimandato per la seconda volta il suo viaggio nel sud-est asiatico perché tra sabato e domenica si voterà alla Camera la riforma sanitaria voluta da questa amministrazione.
Al momento ad Obama mancano cinque voti per farla passare, e questo secondo posticipo della visita ufficiale in Asia può anche voler dire che il presidente americano è certo che i voti mancanti li troverà entro la data della votazione.

Nel frattempo, l’ufficio congressuale per il budget, ha stimato che la riforma sanitaria – se venisse approvata – avrebbe un impatto al risparmio sul bilancio americano di cento miliardi di dollari nei primi dieci anni, e di oltre mille miliardi nel decennio successivo.

Stando ai conti la riforma avrebbe un motivo in più per essere approvata, ma i repubblicani – e parte dei democratici – stanno facendo ostruzionismo ad oltranza perché da sempre le lobby delle assicurazioni hanno un enorme peso politico a Washington, quindi parecchi senatori e deputati dipendono proprio dai loro finanziamenti. Da qui l’ostruzionismo che rende parecchio difficile la vita al Congresso dei sostenitori della sanità a partecipazione pubblica che vorrebbe Obama.

Lo sapremo al massimo tra 48 ore se anche l’America avrà una riforma sanitaria in stile europea, oppure rimarrà ancorata ai regimi capitalistici vecchio stile.